Un Natale con i baffi

Lorenzo Iannelli

“No! Prima di domani non si toccano!”
“Non ho capito perché si devono preparare solo a Natale, come se fosse peccato mangiarli a settembre o a Pasqua. Ma è il 24 pomeriggio, siamo praticamente arrivati a Natale, ma chi se ne accorge, che ne abbiamo tolti due o tre?”
“Innanzitutto, non abbiamo, ma hai tolto, anzi, non lo hai fatto e non lo farai, ché se ci provi te la taglio, la mano! Ma ogni anno la stessa storia? È tradizione, e basta. Non c’è niente da aggiungere. Gli struffoli si mangiano a Natale, non prima, non dopo, punto!”
Avevo affinato, in diciassette anni, diverse tattiche per farle cambiare idea. Ad esempio, per convincerla ad andare in vacanza ad agosto con le amiche, insistevo da luglio. Alla fine la spuntavo! La goccia scavava la pietra, come ci suggeriva Ovidio. Uno stillicidio di tredici mesi, lunghi e ossessivi, soprattutto per lei…
Ma con gli struffoli, niente. Non c’era storia. Nessuna deroga, nessuna eccezione, nessuna pietà. Prima della Vigilia, li vedi solo nella guantiera, da lontano, in alto, lì, sulla credenza nel salotto. Occultati da un sottile manto, con antifurto acustico incorporato. Se provi a sollevare i lembi della carta argentata, da qualunque lato, emette un ultrasuono percepito all’istante dal sonar di mamma, che scatta dalla cucina, dove ha trasferito stabilmente la sua residenza fino a Santo Stefano, per catapultarsi a ristabilire lo status quo ante della guaina metallica. Eppure… da lontano, sembra …
“Mamma! Corri! Vieni in salotto, presto!”
Detto fatto, giunge sulla scena del crimine e constata l’ineluttabile. L’orlo è stato rialzato, il Domopak è stato violato, il vassoio è stato profanato! Nessuno osa oltrepassare il confine che mamma ha tracciato al suo arrivo, delimitando lo spazio: al di là del mestolo roteante, il bene, al di qua, il male. Senza smettere di minacciare gli astanti con la lama lignea, avanza verso il centro del perimetro, per verificare l’entità dell’oltraggio. Si avvicina al mobile, testimone silenzioso dell’accaduto. Si sporge verso la guantiera. Solleva il margine rialzato della carta stagnola e… Il dramma è consumato. Il vassoio è vuoto! Silenziosamente ci mostra la reliquia vilipesa dagli infedeli. “Il traditore è uno di noi!” Quello che le fa più male, non è che il colpevole sia uno di noi, ma che quel qualcuno gliel’abbia fatta sotto il naso, a lei!
I primi rilievi parlano di minuscole tracce di miele alla destra del vassoio. Il miele, quello di Gino, che ce lo mette da parte ogni anno. “E questo lo dai ad Alice, che quando ha mal di gola, è una manna”, allungando a mamma un vasetto di pappa reale, e così, da quando vado in estate a Villa Scontrone, le mie faringiti sono solo un ricordo. Il miele di Gino non si tocca fino a dicembre. Papà lo recupera dalla cantina, dove è custodito, al fresco e al buio, per non alterare il colore ambrato. Il nettare che Ganimede versava nelle coppe ai banchetti dell’Olimpo, me lo sono sempre immaginato come il miele di Gino, riscaldato dai fornelli e dall’amore di mamma e travasato sugli struffoli appena fritti. Non se ne butta via nemmeno un’ombra. Quello che rimane invischiato nei barattoli, lo si spatola con la punta del coltello, meglio se con le dita, per adagiare il nettare su una fetta di pane, o direttamente sulla lingua. A piacere.
Seconda fase delle indagini. Si chiamano gli indiziati, coloro che negli ultimi due giorni, da quando gli struffoli troneggiano in salotto, hanno avuto la possibilità di compiere il sacrilegio. Nasce subito un elemento di discussione: nonno, che ha il diabete, va annoverato nella lista dei sospettati? “Ma come si può dubitare di quell’anima di Dio?! Saranno vent’anni che non mangia dolci, si è abituato pure a prendere il caffè amaro”. “Guarda, io lo escludo come colpevole, ma solo perché la sua artrosi gli impedisce di arrivare al ripiano della credenza”. Con qualche mugugno di mamma, si passa ad interrogare gli altri. Stefano ha un alibi di ferro. È tumulato nella sua stanza da due mesi per preparare Analisi. Se potesse si farebbe impiantare un catetere e un sondino naso-gastrico per non sprecare preziosi secondi in minzione e masticazione. Gli unici momenti liberi li impiega per qualche film in lingua originale, abbracciato alla sua metà, per farsi tradurre ciò che non ha capito, o per dare la pappa ai gattini, unici esseri viventi, oltre Helèna, nei confronti dei quali rivolge attenzioni e parola. Si esclude la sua presenza nelle ultime settimane nel salotto. Rimangono papà, mamma, la sottoscritta e nonna Carmen. Se non fosse che papà, per tutto il periodo natalizio, si eclissa quanto più possa, evitando i discorsi relativi all’arte culinaria, alla farmaceutica o alla moda. Ma questi sono argomenti che non gli piacciono mai, non solo a Natale. Si vede che non lo vive bene, il Natale. Lo rattrista, gli pesa. Non vede l’ora che passi questo tripudio, come lo chiama lui. Non riesce a soffermarsi accanto alle vetrine sfolgoranti, a immergersi nel fiume di frenesia che travolge tutti. Preferisce stare da solo. Anche quando siamo in casa. All’inizio credevo gli mancasse la scuola e che le vacanze fossero per lui una seccatura. Poi ho capito che non è mancanza per la scuola. Gli manca qualcosa di più grande, di più importante. Tutti coloro che non ci sono più e che a Natale si presentano come le assenze più dolorose. Per questo ogni anno spera che arrivi presto la Befana, a portare via feste e ricordi. Anche in questi giorni si sarà visto sì e no un paio di volte, per poco tempo e con poche parole al seguito. Poi si chiude dovunque possa stare in compagnia dei suoi pensieri. E poi c’è un elemento che lo proscioglie da ogni sospetto: a lui gli struffoli non piacciono proprio. Zio Fausto ha sempre raccontato che papà, da piccolo, li adorava. Poi si saranno rivelati troppo natalizi per i suoi gusti.
Dunque, o io, o nonna. Io so di non averli rubati. Lo sa anche lei. Se ne avessi mangiato di nascosto qualcuno, anche negli anni passati, glielo avrei detto. Non subito. Ma glielo avrei detto. Ne siamo sicure entrambe. Non abbiamo mai sottoscritto alcun patto. Non mi ha mai chiesto di dirle tutto quello che faccio. Qualche volta non l’ho detto, ma non mi è piaciuto, non mi fa stare bene. Quando verrà il momento di nasconderle qualcosa, ci sarà un buon motivo. Lo capirà, anche senza sapere quale.
Anche nonna è stata depennata. Non è stata lei. Nessuno potrebbe mai incolparla. Non può essere stata lei. Si priverebbe degli occhi, ma non di qualcosa destinata a noi. Che si tratti di un po’ di tempo, del rammendo di un calzino o degli struffoli per Natale, non se ne parla. Cento testimoni non riuscirebbero a convincere nessun giudice della sua colpevolezza.
Trascorremmo il Natale in un’atmosfera strana. Leggera e curiosa. Non ci siamo più chiesti chi avesse trafugato gli struffoli perché, malgrado fosse incontestabile che fossero spariti, lo era ancora di più che nessuno della famiglia potesse esserne stato l’autore. Avevamo ragione e torto, allo stesso tempo. Lo sapevano bene Romeo e Mya, sorridendosi a vicenda, sotto i lunghi baffi, di cui assaporavano le dolci goccioline che si leccarono, allo scoccare della mezzanotte…