Un cuscino di rose gialle

Raffaella Cosentino

Un sibilo metallico irruppe improvviso e il giallo intenso del fogliame d’autunno, in quel viale d’altri tempi, fu l’ultima cosa che l’uomo vide.
Era sceso al parco Sempione per una corsa veloce di prima mattina. Di lì a un’ora avrebbe incontrato l’intermediario e prima di mezzogiorno si sarebbe imbarcato sul volo per Zurigo.

Era atterrato la sera prima, dopo un volo intercontinentale, all’aeroporto di Malpensa, quando le luci della sera iniziavano a ridisegnare il volto della città, quasi luminosi fili di perle attorno al collo di una bella donna.
L’eleganza soffusa della grande sala d’ingresso, l’accoglienza discreta da parte del personale, l’ipnotico camino in granito nero, lo accolsero con familiarità appena entrò nell’hotel. Seduto davanti alla vetrata della propria suite, con un calice di Cannonau da meditazione in mano, assaporò la suggestione di essere un potente uomo d’affari. Consapevole che il lavoro che stava per concludere sarebbe stato l’ultimo, poi si sarebbe goduto quanto aveva realizzato negli anni.
Il sonno arrivò solo dopo aver ingerito una massiccia dose di Tavor.

La notizia della morte del famoso mercante d’arte svizzero, investito da un monopattino elettrico in città, invase tutte le programmazioni dei canali di comunicazione.

Marco Moretti venne a sapere della morte dello Svizzero mentre si trovava nella sua casa a Brera. Attendeva quella notizia. Nondimeno fu molto scosso. Era la prima volta che si prestava a tanto. Ma la posta in gioco era alta. L’acquirente aveva preteso l’anonimato più assoluto ma lo Svizzero si era spinto troppo oltre. Così lui aveva dovuto ricorrere ad un sicario.
«Oddio! Batt i pagn, cumpar la stria» pontificò la moglie, che stava parlando d’affari con il marito, alla notizia. «Che tragedia! E adsedess? L’affare salta?»
«Ma cosa dici! Non salta niente! So il fatto mio. Te seet la solita ballabiòtt! Comunque, adesso andrò alla galleria».
Le intrusioni della moglie negli affari gli erano insopportabili ma metà della galleria era intestata a lei. Erano stati i soldi del suocero a permettergli di diventare uno dei galleristi più noti di Milano. E gli avevano fatto conoscere lo Svizzero. Un commerciante di opere d’arte legali e illegali che aveva bisogno di un intermediario dalla faccia pulita e dall’ubicazione prestigiosa.

La telefonata arrivò puntuale. L’uomo prese dal cassetto il telefono prepagato e ascoltò:
«Sei stato di parola. Lo Svizzero non è più in affari. Ora siamo soli. Completeremo la transazione appena avremo la nostra merce. Quindi ti invieremo il codice del conto con il denaro a questo numero. Poi dovrai dimenticarti dell’affare e toglierti dai piedi.»
Ripose l’apparecchio mentre il cuore gli batteva all’impazzata. Sapeva che con certa gente non si scherzava.
«Claudia, siamo a posto con la spedizione?»
La donna annuì. «Tra tre ore la roba arriverà a destinazione. Poi dovremo andarcene. Così me desciudo da la to mié gelusa. Non la sopporto più! Ti voglio solo per me. Giorno e notte» e Claudia Ferrari, segretaria particolare di Marco Moretti si abbandonò sensuale tra le braccia del suo datore di lavoro.

«Brutta slandrona de’na troia. Te fo vedar mi di che pasta è fatta la mié gelusa!»
Mariuccia Locatelli in Moretti sapeva da tempo della tresca del marito con quella slandra della sua segretaria. Sapeva che la chiamavano la mié gelusa, pronunciata con quel compatimento che si riserva a chi si disprezza. Sapeva perché da mesi sistemava ogni mattina una cimice spia nel nodo della cravatta del marito.
Mise quindi anche l’ultima registrazione assieme agli altri file audio che da tempo raccoglieva in quel modo. Avrebbe usato quel materiale per ricattarli. Li avrebbe lasciati in mutande, il ganassa e la sò slandra. Giorno e notte!

Il notaio passò alla lettura dei lasciti: il più cospicuo alla casa di cura di Zurigo dove era internata la sorella; l’altro al canile comunale. Il testamento di Daniel Meier, investito la settimana prima a Milano da un monopattino elettrico si concludeva con l’indicazione di recapitare una certa lettera all’indirizzo indicato, qualora fosse deceduto per morte non naturale.

Marco Moretti godeva dell’energia che gli infondeva il Grecale, quell’autunno, terminata l’inoperosità estiva. Una sensazione che non aveva eguali. Si sentiva in cima al mondo. Padrone del mondo. Stava finalmente cambiando il vento, anche per lui!
Sottobraccio a Claudia camminava verso la Porsche Panamera, incontro ad una nuova vita che, presto, sarebbe diventata la sua.
Ma non arrivò all’auto. La sua vita finì su quel marciapiedi, investito da un monopattino pirata che non si curò di lui. Le grida di Claudia lo accompagnarono verso la sua nuova destinazione. E non erano grida di gioia.

Giornali e media rilanciarono la notizia in un susseguirsi di ricordi della vita del gallerista. Un’esistenza senza macchia accanto alla moglie, figlia del noto imprenditore Guido Locatelli.
Marco e Mariuccia eleganti alla prima della Scala, sorridenti al mare a Portofino, abbracciati in montagna sulle nevi d’oltralpe. Una vita di successi e visibilità.
A pochi giorni dall’incidente che aveva causato la morte del cittadino svizzero Daniel Meier, un altro tragico epilogo in città e la causa era ancora una volta un monopattino elettrico.
La moglie, affranta, non rilasciò interviste.
Le esequie si tennero in Duomo.
In una chiesa gremita, sferzata dal Grecale che da giorni avvolgeva Milano, Mariuccia stava composta nella sua parte, trincerata dietro un paio di occhiali dalle lenti scure di Prada dalla forma irregolare.
«Varda la Mariuccia. Detto fora dai dent, la è proprio strusàa. Come farala desso a desbrojà de per lè. Hai visto il suo cuscino di fiori per Marco? Ha scelto delle rose gialle, che con i funerali non c’entrano niente. Lo sanno tutti che rappresentano la gelosia!»

L’esecutore testamentario, un caro amico, ha curato la successione di Marco Moretti. Mariuccia è l’unica erede del marito.

«Claudia, devo vederti. Arrivo. Aspettami.»
Spegne il telefono e sale nel taxi.
Alla galleria trova Claudia stravolta, gli occhi gonfi ma con una luce di vittoria che Mariuccia sa bene come spegnere.
Chiuse nell’ufficio le due donne ascoltano le registrazioni della Locatelli. E mentre i file scorrono, al trionfo dell’una fa da controcanto lo sconforto dell’altra. Infine, la voce dura di Mariuccia interrompe la disperazione di Claudia:
«Adesso trasferisci tutti i soldi che hai depositati con Marco nelle banche estere, su questo mio conto. Eccoti i codici. Aspetto.»
Il silenzio che cala nella stanza viene interrotto dalle scarne indicazioni di Claudia all’altro capo del mondo.
Terminata l’operazione Mariuccia si alza, dà uno sguardo tutto attorno e si dirige alla porta. Prima di uscire si volta:
«Un’ultima cosa, Claudia: sei licenziata!»

Uscita in strada imbuca la lettera secondo le volontà di Meier. Si è salvata dalle accuse dello Svizzero ma ha dovuto assecondarlo nella sua vendetta. Orchestrando l’incidente mortale del marito, con un monopattino, in città e da ultimo spedendo in procura i documenti e le prove in grado di affossare l’acquirente.

Il vento era cambiato, ma solo per lei, la mié gelusa e ballabiòtt.