Quartiere color giallo
Anastasia Licia Greco
Sono consapevole che la maggior parte di voi non avrà di certo mai prestato particolare attenzione a una cosa del genere, ma riflettete qualche secondo prima di rispondere: quante volte avete visto in strada un’auto gialla? No, i taxi newyorkesi non vanno conteggiati. No, mi spiace, neanche gli scuolabus. Sì, lo so che non vi ricordate se vi è mai effettivamente capitato. Per questo motivo qualcuno ha inventato il gioco per cui, in presenza di un simile miraggio, si è autorizzati, avvertendo il malcapitato di turno con il grido “macchina gialla”, a mollare un pugno sul braccio della persona che abbiamo di fianco.
Anni di allenamento avevano consentito ad Alice di intravedere una Mini Cooper giallo canarino sfrecciare in mezzo al traffico. E quindi lei, senza starci a pensare troppo su, aveva percosso energicamente con le nocche l’incavo del suo gomito.
Alice si era trasferita da poco a Milano da qualche paesino sperduto del Meridione. I bambini che il destino faceva venire al mondo fra quei monticelli sparsi sognavano il giorno della loro partenza. E così andavano a studiare a Milano. Non tutti in realtà, ma dovete sapere che per la gente del Sud ogni comune a nord di Roma è Milano.
Alice, però, si era trasferita nella vera Milano. Era metà settembre, le lezioni non erano ancora cominciate e l’ebbrezza del topo di campagna che si lascia stregare dalla prosperità e dalla frenesia della vita di città si stava esaurendo.
Il suo momento preferito della giornata era la colazione, durante la quale, sul balconcino, consumava la sua tazza di disgustoso caffè solubile, perché la moka l’aveva dimenticata a casa. La vicinanza degli altri appartamenti l’aveva inquietata inizialmente, finché ,una mattina, alla sua sinistra, non aveva intravisto la treccia corvina della sua dirimpettaia. Samantha era indiana. Trascorreva le prime ore del mattino a studiare. Ogni alba la avvicinava al traguardo di una puntuale laurea in psicologia, e i tramonti salutavano la quotidiana dose di fatiche nei lavori domestici. La mattina Alice, ancora in pigiama, adagiava il mento spigoloso sulla ringhiera e con un sorriso, quasi sornione, fissava la sua nuova amica che le impartiva preziosi suggerimenti su come organizzare la sua vita a Milano. Erano discorsi sui supermercati più economici e sulle fermate della metro a cui scendere per raggiungerli. Alice la ascoltava e annotava mentalmente soltanto ciò che poteva interessarla e intanto studiava quella ragazza e aveva l’impressione che quel quartiere fosse per lei l’unico fulcro della sua esistenza e che il ritmo di questa fosse scandito dagli obiettivi da raggiungere progressivamente e non fosse contemplato null’altro oltre questo circoscritto orizzonte. Era come se nel mezzo di un oceano tempestato da isolotti dalle forme e dimensioni più disparati, una decidesse ostinatamente di aggrapparsi a uno scoglietto e si divertisse a girargli attorno in cerchio. Alice non sapeva se era il caso di accogliere quel suo piccolo mondo e ripudiare piuttosto la propria tensione al perpetuo movimento. Ad ogni modo, l’universo di Samantha era delizioso: aveva rifornito Alice di certe spezie rosseggianti che la nostra protagonista aveva imparato ad annegare nei gialli abissi del risotto allo zafferano, uno dei suoi pranzi ricorrenti.
Di prendere la metro per condurre un’omerica caccia alla candeggina più conveniente non se ne parlava nemmeno, mentre per Alice non era stato affatto un problema uscire nel bel mezzo di una sinfonia pluviale per raggiungere il bazar che si trovava all’inizio della strada per sostituire il vetrino scheggiato del cellulare. Alla cassa c’era un suo coetaneo, asiatico. Il negozio non era molto grande, ma sorprendentemente ordinato. La merce era stata compressa negli stretti scaffali con un ordine metodico che quasi inquietava una come Alice. Mentre Xu passava la profumata salvietta al limone presente nella confezione del vetrino per rimuovere gli aloni dallo schermo, Alice girovagava come una trottola. <Riuscirò a trovare una cosa che non è stata prezzata?> diceva in continuazione e ridacchiava.
Quando si annoiava, e capitava spesso, andava al negozio, che era dei genitori di Xu, perché anche lui era ancora uno studente ed evidentemente applicava nella vita quella stessa legge dell’ordine razionale che regnava fra gli scaffali.
Alice faticava a capirli quei due ragazzi, Samantha e Xu. Per lei l’esistenza umana era una roba paragonabile al percorso di un funambolo che attraversa uno strapiombo. Lei barcollava continuamente e non smetteva di guardarsi intorno. Quelli invece avanzavano diritti, facendo jogging sulla fune.
E poi c’era lui, che lassù ci danzava e tante volte era rimasto con una gamba all’aria, come si dovrebbe vivere a vent’anni.
Dimitri, originario dell’Est Europa, faceva mille lavori e ne andava cercando sempre di nuovi. Tra le abitudini di Alice rientrava anche quella di farsi consegnare il cibo a domicilio. Lui arrivava e il sushi o l’hamburger si raffreddavano mentre parlava con la ragazza sul pianerottolo. Lì erano sempre in penombra, infatti lei non era ancora riuscita a capire di che colore fossero i suoi occhi e sembrava determinata a risolvere questo giallo. Ormai lo chiamava direttamente al cellulare per ordinare e lui quella sera era andato comunque da lei col cartoccio con la cena anche se non era di turno. Aveva beccato Alice nell’atrio, che stava uscendo per buttare fuori la spazzatura. Allora lei aveva visto la macchina gialla e gli aveva tirato un pugno.
Mentre cercava le monete per pagarlo in maniera esatta, un vento levatosi all’improvviso rubò la foto di sua nonna che conservava nel portafoglio, foto che cominciò a volteggiare fra i fili del filobus. Pochi secondi dopo quello stesso vento si mise a tagliarle le guance e a gonfiarle la giacca, mentre, in sella alla moto di Dimitri, rincorrevano le speranze, gli amori e le paure del luminoso sorriso bordato di rosso di una ragazza degli Anni Venti. Raggiunsero un parchetto, uno di quei microcosmi di quartiere, in cui pareva raccogliersi in contemplazione l’anima stessa di Milano, e Alice raccolse la foto da una pozzanghera createsi nei pressi della fontana. La depose su una panchina su cui si sdraiò lei stessa e guardò Dimitri che andava a comprare del fumo.
Sorpresa. Il venditore era Xu, che imbustava la droga con la stessa disinvoltura con cui ti chiedeva se volevi il sacchetto biodegradabile quando stava per battere lo scontrino. Poco dopo lo raggiunse Samantha con un sacco di soldi, che porse al cinese. Lui le restituì cinquanta euro e lei allora si sedette a gambe incrociate su una panchina e cominciò a conversare con Dimitri con un fare civettuolo inedito per Alice. Quella ragazza avrebbe snaturato se stessa pur di guadagnare i soldi necessari a scappare via. E il suo amico agiva in base a principi che si rifacevano tutti alla legge del profitto. Così la città, come un vampiro, aveva succhiato i loro vent’anni.
Intanto Dimitri faceva ritorno da lei e la calda luce gialla del lampione rivelava ad Alice che i suoi occhi erano del colore del vento che traghetta le foglie dall’estate all’autunno, a metà fra il verde e il marrone.