No like x Eli

Diego Arrigoni

Una bava di vento arpeggiava fra i capelli di Luca. Ombrelli di pioggia tamburellavano sopra il marciapiede di via Forlanini, strada che conduce all’aeroporto di Linate.
La luce accesa dei lampioni ombreggiava il marciapiede e Luca dal rientro dall’Università con il suo zaino in spalla si sentiva osservato.
Dalla finestra del palazzo di fronte alla fermata del bus qualcuno lo stava guardando o almeno questa era la sua sensazione.
Si sentiva scrutato dalla testa ai piedi.
Nascosto sotto la becca del suo cappellino cercava di sbirciare ma non vi riusciva.
Spilli di pioggia gli colpivano il viso e il chiarore del sole dietro le nuvole impediva di guardare in alto per lungo tempo.
Il pullman arrivò e non ci fu tempo di scoprire chi potesse esserci in quel palazzo.
Salito, si precipitò verso i finestroni per vedere la finestra del terzo piano. Gli sembrò di scoprire un volto, poi la tenda si chiuse e il pullman era già al semaforo oltre la via.
“Chissà chi era? Cosa voleva? Perché era entrato nei suoi pensieri? “.
Ma il vento passò e portò via i ragionamenti, mentre il sole moriva oltre i palazzi della città.
Sceso alla fermata un profumo d’erba tagliata distolse la mente di Luca che si mise a cercare delle coccinelle gialle.
Erano la sua preoccupazione ora che arrivava il freddo dell’autunno-inverno. Le pensava senza nulla da mangiare e da bere. Così le catturava e le curava. Dopo averne trovate sotto una foglia, fra gli steli di erba, fra i petali di un fiore, le prendeva lasciando che la coccinella camminasse sulle dita e nel palmo della mano, poi con l’altra mano le copriva facendo attenzione a non schiacciarle.
Arrivato a casa le avrebbe lasciate volare all’interno della serra che si era costruito nel giardino. Lì c’erano foglie, piccole piante, petali e tronchetti di legno ove le coccinelle gialle potevano nascondersi e rifugiarsi. Giornalmente Luca raccoglieva foglie e fiori nuovi e toglieva i vecchi per evitare che facessero delle muffe.
Eppure mentre tornava a casa con la sua nuova conquista, pensava a quel viso che lo scrutava dall’alto di un palazzo di via Forlanini, forse già visto, o forse era solo una sua fantasia che quel volto lo stesse guardando.
Dopo aver curato le coccinelle nella serra, si mise a fare i compiti prima di cena, … e quel volto lo accompagnava: ogni volta cambiava lineamenti e tratti: a volte più maschili a volte femminili, poi giovane, anziano, fanciullo in ogni istante il volto si trasformava.
Luca conosceva il colore dello sbattere d’ali delle coccinelle, la loro fragilità di resistere al freddo, ma il balbettio della paura di vivere non lo conosceva.
Eppure Luca si chiedeva come mai quel volto avesse catturato la sua mente, la sua immaginazione. “Un istinto di protezione che ereditiamo dal comportamento animale”, pensò come quando il pericolo dei predatori era all’ordine del giorno. Era una sensazione che stava solo nella sua testa? Questi ed altri interrogativi affollarono la sua serata, e non riusciva a studiare. Quel volto lo assillava.
Anche durante la notte frequenti risvegli riportavano alla sua mente quel viso, quello sguardo ed ogni volta era sensazioni diverse.
Il giorno seguente sempre alla fermata quello sguardo lo trafiggeva. Abbassò lo sguardo. Salì sul pullman.
Luca si sentiva seguito costantemente da quello sguardo che lo tormentava a volte sembrava sogghignare nella sua mente. Quel viso non l’aveva mai visto, non saprebbe nemmeno descriverlo o disegnarlo eppure da quel volto era preso in ogni istante, in ogni momento, sempre.
Con il transitare delle ore si appassiva nell’anima la gioia. Diveniva rumore l’afonia della paura, il silenzio di quel volto privo di parole. Trapassava le viscere come dardo acceso quello sguardo senza voce.
Di notte un incubo lo accompagnò: quello sguardo era all’ultimo piano di un grattacielo e lui che doveva affrontare tutte le scale per raggiungerlo e vedeva che a quell’altezza non arrivava mai.
Al mattino quel viso era presente ovunque: sui vetri della doccia, sulla tazza del caffè, sulle ante dell’armadio e Luca avrebbe desiderato condividere la sua angoscia che gli prendeva lo stomaco e le viscere, della grandine che martellava il tuo inferno, ma niente era e si sentiva maledettamente solo.
A scuola, sul bus, durante i pasti, al parco quel volto sembrava lo seguisse, lo perseguitasse. Un’ossessione era entrata in lui. A volte si girava di scatto pensando di essere guardato, a volte negli occhi della gente cercava quello sguardo perché quel volto lo stava seguendo, lo stava pedinando.
Anche le sue amate coccinelle non erano più le stesse, ritardava di andare alla serra perché temeva di rimanere prigioniero di quel volto che lo stava carcerando, privandolo della libertà.
Eppure era solo un volto visto da lontano e che forse neppure guardava lui.
Ogni sera alla fermata quella tenda si spostava, appariva un volto che lo fissava fino alla sua salita sul pullman fino al semaforo e poi la tenda si chiudeva, ma quello sguardo lo seguiva fino a casa, per la strada. Luca ogni giorno sceso dal pullman faceva strade diverse prima di arrivare a casa, ma ad ogni percorso quel volto, quello sguardo erano lì. Sembrava che da ogni finestra, da ogni porta, da ogni angolo delle case uscisse quello sguardo, quel viso. Sembravano essere ovunque sullo screen-Save del computer, sul salvaschermo del cellulare, sul manico dello spazzolino da denti, nel cappuccio della biro, riflesso nello specchio, fra i denti del pettine, nella crema che metteva per i brufoli. Ovunque quel volto. “Perché? – si chiedeva Luca – perché?” Eppure non avevano mai comunicato, mai una smorfia su quel volto, mai un’intenzione.
Soltanto una tenda che si spostava, uno sguardo fisso lontano, sembrava avvolto di nebbia e una tenda che si richiudeva. Eppure quel volto non se ne andava. A volte Luca alla fermata non alzava il suo sguardo eppure si sentiva osservato, scrutato.
Un giorno quel volto prese forma.
Alla fermata una persona lo attendeva.
Sul muro vi era una scritta: NO LIKE X ELI.
Luca aveva paura. “Ma di cosa” si chiese, se quel volto sembrava come tanti, insignificante per la sua vita.
Quel volto alzò lo sguardo, fissò quello di Luca, dicendo:” Elisa è mia!”
Poi lo sparo.
La bocca di Luca si aprì in un urlo muto, crollò a terra rannicchiato dal dolore. Sentiva la pancia squarciata ed il freddo che dagli arti saliva al cuore.
Si ricordò che qualche settimana prima ad una fotografia postata da Elisa sui social lui aveva risposto con un “like”. Elisa era stata la sua fidanzata per qualche mese. Entrambi ventenni. Poi lei si era innamorata di un altro, di un anno più grande, un po’ più bullo e spaccone: di quelli che sembrano i migliori e le ragazze sognano di avere una storia romantica con loro.
Ad un mese dalla separazione lei postò sui social una fotografia in spiaggia e lui stupidamente appose il suo “like”, oppure perché ne era ancora innamorato.
Luca chiuse gli occhi, nelle pupille ancora impresso quello sguardo per l’ultima volta.
Arrivò la polizia.
Un drone atterrò presso la fermata: Luca aveva filmato la sua morte.
Una coccinella gialla mossa da una bava di vento si poggiò sul palmo della mano sinistra di Luca.