Linea Gialla

Enrico Giustiniani

La ragazza, top rosso, minigonna jeans e stivali da cowgirl, rivolge lo sguardo basso sul display dello smartphone nella spasmodica ricerca di contenuti utili a riempire l’insopportabile vuoto di una realtà che sembra soffocarla.
Gli occhiali tondi, troppo grandi per quel viso minuto sovrastato dai suoi occhi orientali, provano a mistificare la sua bellezza giovanile che ritorna a esplodere dirompente nel suo evidente seno prosperoso.
Accanto, un anziano in barba bianca lotta contro lo scorrere della vita indossando un bermuda militare liso dal quale sbucano due gambe magre, rinsecchite come ali di pollo, alle cui estremità spicca l’arancio di un paio di Crocs. Con le braccia trattiene tenacemente uno zaino Invicta ormai logoro, mentre il capo ondeggia altalenante al ritmo frenetico del beccheggio della metro.
In fondo, ad un’estremità del vagone, in solitudine, un cane mi guarda assorto. Ansima con la lingua a penzoloni e lo sguardo indecifrabile. Non sembra essersi perso, almeno non più di quanto lo sia io, ma semplicemente in attesa. Dall’altro lato due ragazzi stile punk si baciano accorti. Niente di più o di meno di quello che la mia vita da nottambulo non abbia già incontrato.
L’arrivo nella stazione di Porta Romana, nonostante l’usuale stridore e lo spezzarsi della cadenza, prorompe improvviso rompendo ogni indugio. La ragazza e l’anziano si alzano all’unisono, abbracciandosi si avviano mano nella mano verso l’uscita.
Le solite divagazioni mi hanno distratto tanto da non accorgermi che il filippino seduto al mio fianco si è come smaterializzato, reincarnandosi nel corpo di una distinta signora con un tubino marrone e un filo di perle a definirle il collo. Come una diva anni Cinquanta ha il capo coperto da un foulard color magenta annodato ben stretto sotto il mento a contenere un’acconciatura voluminosa. La bocca, disegnata con un rossetto rosso leggermente troppo acceso per lo squallido contesto metropolitano, sembra eternamente sospesa nel pronunciare una qualche fatidica parola. Degli occhiali da sole stile cat-eye le nascondono gli occhi, così come l’età e le emozioni. Vicino a lei le fa compagnia un borsone da viaggio di pelle nera con le cuciture evidenziate e i piedini di ottone sul fondo, i manici robusti stretti nelle sue mani.
Un rallentamento improvviso e mi ritrovo Grace Kelly praticamente in braccio.

– Mi scusi – mi fa e una fragranza di popcorn mi colpisce inaspettatamente.

-L’importante è che non si sia fatta male – rispondo con il sorriso più cordiale che le mie costole incrinate mi consentano.

-Sa… mi piace viaggiare in metro ma non sono più tanto abituata – come se fosse possibile abituarsi, penso.

-E cosa l’ha spinta a prendere la metro a quest’ora della notte?

-Mio marito. Oggi è il nostro anniversario di matrimonio, sono vent’anni.

-Congratulazioni!

-Grazie. Erano anni che Ernesto mi prometteva di portarmi in Galleria, in un ristorante, ma voi uomini sapete fare solo promesse da marinaio, vero? – Mi dice ammiccando leggermente, o almeno così interpreto quel sopracciglio alzato.

-Non saprei, io ero in fanteria – mi mordo la lingua appena finisco la frase.

-Già… voi non sapete mai nulla. Passate il tempo a cercare i calzini nei cassetti quando li avete già ai piedi e non vi accorgete nemmeno che sono spaiati – abbasso istintivamente lo sguardo per controllare i miei.

-Pensate che vent’anni siano vent’anni solo per voi, che dovremmo essere sempre lì ferme ad aspettare… – provo a replicare, ma lei ormai è un fiume in piena – …amorevoli, comprensive, sottomesse a ogni sopruso o angheria. Ma non sapete quanto vi sbagliate.
La fermata Crocetta arriva quanto mai necessaria. Un gruppo di giovani entra con fragore con le facce dipinte da clown. Prendono subito di mira i due ragazzi, iniziando a girargli intorno e a schernirli.
Guardo fisso l’elenco delle fermate della linea gialla della Metro per calcolare il tempo che manca alla mia ed evitare di essere coinvolto, ma non considero la mia compagna di viaggio.

-Lasciateli stare – la voce di Grace colpisce i diretti interessati che come feriti da un colpo di frusta si voltano di scatto.

-Cosa hai detto? – a ogni sillaba quello che sembrerebbe il capo branco si avvicina verso di noi.

-Ho detto di lasciarli stare – ripete Grace scandendo ogni parola.

-Avete sentito? Ha detto di lasciarli stare – il novello Joker si rivolge con ironia ai suoi compagni – forse stasera ci divertiamo.

-Che bella borsa – continua, afferrando i manici nel tentativo di tirargliela via, ma Grace resiste convinta a non cedere.
Inatteso, vedo il mio braccio muoversi e la mano afferrare il suo polso. Per un attimo resto sorpreso, quasi quanto lui. Iniziamo così a dimenarci contendendo ognuno un manico della borsa. Nella lotta il bagaglio finisce per cedere fino ad aprirsi completamente.
Una testa mozzata cade sul pavimento rotolando lungo il vagone fino ad arrivare ai piedi di Joker.
Una cappa di gelo pervade tutto il convoglio. Io resto immobile, i clown indietreggiano terrorizzati, i due punk si voltano per non guardare, il cane abbaia, il vagone si arresta, le porte si spalancano e i ragazzi, accomunati tutti dalla stessa paura, fuggono via indemoniati verso la stazione di Missori.
Ernesto! – urla Grace, precipitandosi a raccogliere la rolling stone umana per riporla amorevolmente nella borsa.
Mentre provo a togliermi dalla mente lo sguardo di quel viso spento implorante un aiuto postumo, una Grace trasfigurata mi si pone davanti e un brivido mi corre lungo la schiena. Lentamente si toglie gli occhiali, rivelando la tristezza dei suoi occhi e una stanchezza infinita.

-Sai perché mi piace la metro? – sembra parlare in uno stato di trance – Prima di vedere il treno, sento il rumore crescente provenire dai binari. All’inizio, un ronzio che si trasforma in un rombo, poi delle leggere vibrazioni sotto i piedi. Le luci diventano visibili nel tunnel prima che il treno appaia. Inizio a prepararmi. Mi avvicino alla linea gialla segnata sulla banchina che indica, in quel preciso momento, il mio posto nel mondo e l’indiscutibile demarcazione tra la vita e la morte. Infine, l’arrivo del treno genera dei venti rinfrescanti e forti che riesco ad avvertire sulla pelle e nell’anima, portando con sé la forza del cambiamento, nuove possibilità, una nuova vita.
La voce automatica, avvisando l’arrivo nella stazione Duomo, sembra risvegliarla.
E’ la mia – dice avviandosi verso la porta.
Il vagone si arresta, le porte si aprono e Grace esce. La guardo stordito mentre si allontana, poi vedo il suo bagaglio circondato da una macchia scura violacea abbandonato sul sedile.
“La valigia” urlo e gli tendo la borsa.
Lei si riavvicina alla porta e allunga la mano per afferrare la borsa.
“Non so proprio dove ho la testa – dice e per alcuni istanti il mio braccio irrigidito resta serrato sulla maniglia. Alla fine cedo e la lascio andare.
Le porte si richiudono, il treno riparte, percepisco il movimento come in lontananza.
Resto solo, mentre il cane mi guarda, pensa di aver trovato un nuovo padrone.