La gemma perduta

Franco Buttiglieri

Milano, inverno del 1923. La città si avvolgeva in una nebbia densa, quasi palpabile, che avvolgeva ogni cosa come un velo di mistero. Le strade, percorse da automobili dalle forme squadrate e tram rumorosi, sembravano distendersi all’infinito, nascondendo segreti oscuri dietro ogni angolo. Era una città di luci e ombre, dove il progresso industriale conviveva con antiche superstizioni, e la modernità si scontrava con il passato.
Giovanni Moretti, un archeologo di mezza età, camminava frettolosamente lungo i Navigli, il cappotto pesante ben stretto attorno a sé per proteggersi dal freddo pungente. Le sue mani, inguantate di pelle, stringevano una valigetta nera che conteneva un prezioso carico. Giovanni era un uomo di poche parole, lo sguardo perennemente rivolto verso il passato. La sua vita era stata dedicata allo studio delle civiltà antiche, e il suo ultimo ritrovamento lo aveva portato a scoprire una gemma di inestimabile valore, un monile che si diceva avesse appartenuto alla regina Cleopatra.
Il gioiello era stato scoperto durante uno scavo in Egitto, nascosto all’interno di una tomba segreta nella Valle dei Re. La gemma, un opale incastonato in una montatura d’oro finemente lavorata, emanava una luce eterea, quasi ultraterrena. Giovanni sapeva che il suo valore andava oltre il denaro; quella pietra rappresentava un pezzo di storia, un legame tangibile con un’epoca lontana.
Tuttavia, non era l’unico a conoscerne il valore. Nei giorni successivi al suo ritorno in Italia, Giovanni aveva notato strane presenze attorno a sé. Uomini vestiti di nero che sembravano seguirlo a distanza, sguardi fugaci che incrociavano i suoi nelle vie affollate della città. Una tensione sottile ma costante si era insinuata nella sua vita, come se un’ombra oscura lo stesse braccando.
Quella sera, Giovanni si recò in un piccolo caffè nascosto in una delle vie laterali di Brera. Era un luogo tranquillo, frequentato da intellettuali e artisti, dove si sentiva al sicuro. Seduto a un tavolino in un angolo appartato, ordinò un caffè e aprì la sua valigetta. L’opale brillava sotto la luce fioca della lampada, ipnotizzante nella sua bellezza. Giovanni la osservava, perso nei suoi pensieri, quando una voce interruppe il suo silenzio.
“È davvero un pezzo straordinario, non trova?” disse un uomo seduto al tavolo accanto. Giovanni alzò lo sguardo, incontrando gli occhi freddi di un individuo dall’aspetto distinto, con i capelli pettinati all’indietro e un sottile baffo curato.
“Chi è lei?” chiese Giovanni, cercando di mantenere la calma.
“Il mio nome è Conte Luigi Bruni,” rispose l’uomo, accennando un sorriso che non raggiunse mai i suoi occhi. “Mi sono sempre interessato di antichità, e il suo ritrovamento ha destato la mia curiosità. Si dice che quel gioiello porti con sé una maledizione.”
Giovanni rabbrividì. La leggenda della maledizione di Cleopatra era nota a molti, ma lui non ci aveva mai creduto. Era un uomo di scienza, non di superstizione. Tuttavia, la presenza del Conte Bruni, con il suo atteggiamento ambiguo e l’aria minacciosa, lo metteva a disagio.
“Le maledizioni sono solo storie per spaventare i creduloni,” replicò Giovanni, chiudendo la valigetta con un clic deciso. “Ora, se vuole scusarmi, ho da fare.”
Si alzò per andarsene, ma il Conte Bruni lo fermò, posandogli una mano sul braccio. “Non sottovaluti le storie, signor Moretti. A volte, la verità si nasconde proprio dove meno ce lo aspettiamo.”
Giovanni scosse la mano del Conte e si allontanò in fretta, con il cuore che batteva forte nel petto. L’incontro lo aveva turbato più di quanto volesse ammettere. Tornato a casa, chiuse a chiave la porta e si assicurò che le finestre fossero ben sbarrate. Posò la valigetta su una scrivania e si sedette, cercando di razionalizzare quanto accaduto.
Ma non riusciva a togliersi dalla testa le parole del Conte. La maledizione. Era solo una coincidenza che da quando aveva trovato la gemma la sua vita fosse diventata un incubo? O c’era davvero qualcosa di soprannaturale all’opera?
Decise di nascondere la gemma, per lo meno temporaneamente. La ripose in una piccola cassaforte nascosta dietro un quadro, assicurandosi che nessuno potesse trovarla. Ma il sonno quella notte fu inquieto, tormentato da incubi di serpenti e sabbie mobili che lo inghiottivano.
La mattina seguente, Giovanni si svegliò con una strana sensazione di angoscia. Mentre si preparava per uscire, un telegramma venne consegnato alla sua porta. Lo aprì con mani tremanti.
“INCONTRO URGENTE A PALAZZO VISCONTI ALLE ORE 20. – L.B.”
Il suo cuore sussultò. Palazzo Visconti era una delle residenze più antiche e misteriose di Milano, nota per i suoi passaggi segreti e le storie di intrighi e tradimenti. Nonostante le sue paure, Giovanni sentì di non avere scelta. Doveva scoprire cosa volesse il Conte Bruni.
Quando arrivò al palazzo, la notte era già calata, e la nebbia avvolgeva le strade come un sudario. L’edificio si ergeva imponente davanti a lui, con le sue finestre che sembravano occhi oscuri che scrutavano la città. Venne accolto da un maggiordomo silenzioso che lo condusse attraverso corridoi bui, fino a una grande sala illuminata solo dalla luce di un camino.
Il Conte Bruni lo attendeva, seduto su una poltrona di velluto rosso, con un bicchiere di brandy in mano. “Benvenuto, signor Moretti,” disse, indicandogli una sedia di fronte a sé.
Giovanni si sedette, cercando di mantenere un aspetto calmo. “Cosa vuole da me, Conte? Perché mi ha fatto venire qui?”
Bruni sorrise, ma i suoi occhi rimasero freddi come il ghiaccio. “La verità, signor Moretti, è che quel gioiello non le appartiene. Appartiene alla mia famiglia da generazioni. Fu rubato molti anni fa, e ora il destino ha voluto che tornasse nelle mie mani.”
“È assurdo,” protestò Giovanni. “L’ho trovato io, è un ritrovamento archeologico.”
“Non si tratta di ciò che è legale, ma di ciò che è giusto,” replicò il Conte. “La gemma è legata alla mia stirpe, e non può restare nelle mani di un estraneo. Mi dia il gioiello e la sua vita tornerà alla normalità. Resista, e non posso garantire la sua sicurezza.”
Giovanni sentì un brivido lungo la schiena. Si rese conto che il Conte era disposto a tutto per ottenere ciò che voleva. Ma lui non era un uomo che si faceva intimidire facilmente. “Non mi lascerò ricattare, Conte,” disse, alzandosi dalla sedia. “La gemma resterà dov’è.”
Il Conte si alzò lentamente, il volto ora privo di espressione. “Pensa davvero di potermi sfidare, Moretti? Ho risorse che lei non può neanche immaginare.”
Giovanni fece per andarsene, ma prima di raggiungere la porta, sentì un dolore acuto al fianco. Si guardò in basso e vide una macchia di sangue allargarsi sulla camicia. Il Conte aveva in mano un coltello, ancora sporco.
Cadde a terra, il respiro affannoso, mentre il Conte si avvicinava. “Non doveva andare così,” mormorò Bruni, chinandosi su di lui. “Ma ora, la gemma tornerà alla mia famiglia, dove è sempre appartenuta.”
Il mondo intorno a Giovanni iniziò a sfumare in una nebbia grigia, mentre la vita lo abbandonava. L’ultima cosa che vide fu il volto impassibile del Conte, che si allontanava nell’ombra, portando via con sé il segreto della gemma perduta.