Inchiostro color sangue

Lorenzo Mauri

«Ha ucciso lei Rossella Leoni?»
«Sì, la odiavo».

Una bella donna, sui 35 anni, 1,70 di altezza: un corpo seducente, almeno fino a poche ora fa.
Ora non più: è distesa in modo scomposto in un lago di sangue, uccisa a bastonate, o almeno così sembra.
Chi la voleva morta?
È questa la domanda che frulla nella testa del Commissario Rubinetti da quando è arrivato sul luogo del delitto, il garage sotterraneo di un condominio nel quartiere Bisceglie.
A scoprire lo scempio il portinaio, che ha già detto tutto quello che sapeva, ossia niente di utile, agli agenti intervenuti per primi sul luogo del delitto.
Mancano i documenti e una catenina, strappata con forza a giudicare dal segno sul collo.
Rubinetti, chino sul cadavere, lo nota subito: sembrerebbe una rapina, pensa non troppo convinto.

«Sappiamo che conoscevi Rossella Leoni da alcuni mesi. E che ci andavi a letto. E ci vuoi far credere che non avevi idea di chi frequentasse?»
Rubinetti guarda negli occhi Alessio, che ha perso la spavalderia dei suoi vent’anni appena ha saputo che la Leoni era morta ammazzata.
Il Commissario gli ha fatto capire che non pensano sia stato lui: se però non li aiuta, potrebbe avere la sua dose di guai.
Appena l’ha visto entrare nel suo ufficio, l’ha inquadrato subito: Alessio Previtali, un bauscia di quasi due metri, con le braccia coperte di tatuaggi e un alibi di ferro, ma che si è cagato subito addosso quando si è parlato di omicidio.
«Ho conosciuto Rossella a un corso di calligrafia».
«Calligrafia?» ripete sorpreso il Commissario, la cui scrittura a mano assomiglia a un elettrocardiogramma.
«Sì», prosegue Alessio, «vorrei diventare un bravo tatuatore e Marcello, il mio capo, mi ha consigliato di fare un corso di calligrafia di corsivo inglese perché i tatoo in questo stile tirano molto».
«E la Leoni era anche lei un’allieva di questo corso?»
«La Rossy è… cioè era l’insegnante ed era bravissima».
«Come siete diventati intimi?»
«Alla fine del corso ci aveva lasciato la sua mail e io le ho scritto per concordare qualche lezione privata. Poi mi ha chiesto se mi andava un aperitivo insieme e così è cominciato tutto».
«A noi risulta che ti abbia dato la chiave d’ingresso del suo condominio, in modo da non farti notare quando andavi a trovarla. Visto che era sposata».
«Sì, la tenevo nascosta nel secondo cassetto della scrivania nella mia camera da letto. Non lo sapeva nessuno, neanche mia madre, che non si fa mai i cazzi suoi».
Il Commissario sta per liquidare il ragazzo quando sente del trambusto fuori dalla porta: l’agente Migliacci sta cercando di calmare una donna che, con voce stridula, chiede insistentemente del suo “bambino”.

Lucia Previtali, 62 anni portati male, 1,60 di altezza, un leggero sovrappeso, occhiali da vista che non riescono a nascondere due occhi azzurri pieni di rancore.
Il Commissario ha una regola: ascoltare con attenzione la voce degli interlocutori.
Timbro, volume, velocità, insieme al linguaggio non verbale, gli permettono di comprendere la personalità di un soggetto e di iniziare gli interrogatori con un margine di vantaggio.
«Si può sapere per quale motivo avete fatto venire qui il mio bambino?», gli chiede la donna con stizza, quasi senza respirare. Una vera rompicoglioni.
«Suo figlio ha vent’anni, signora, non è un bambino. Lo abbiamo sentito come persona informata sui fatti, visto che conosceva la vittima».
Il tono pacato del Commissario non serve a placare la donna.
«Ci sono tante puttane da quattro soldi che circuiscono gli uomini. E loro, coglioni, ci cascano».
Come era successo a suo marito Giuseppe, che, quando Alessio era appena nato, l’aveva abbandonata per una poco di buono conosciuta al bar.
«Si rende conto che Alessio rischia di finire nello stesso modo? Quella donna gli aveva dato addirittura le chiavi di casa!»
Rubinetti ne osserva il gesticolare continuo e il viso paonazzo: è la classica persona che non ascolta e che continua a parlare fino a quando non ha detto tutto quello che deve dire.
«E poi c’è quel Marcello, un mezzo delinquente che sfrutta Alessio facendogli credere che i tatuaggi sono una forma d’arte».
Per Rubinetti è sufficiente: «La ringrazio, signora, mi è stata molto utile».
Il Commissario, rimasto solo, alza la cornetta e ordina all’agente Migliacci di prepararsi: si va in Ripa di Porta Ticinese.

La vecchia Milano, uno dei luoghi a cui Rubinetti è più affezionato.
Marcello Cavallaro lo sta già aspettando appoggiato alla porta d’ingresso di Artetatoo.
Che cazzo vogliono ancora gli sbirri, pensa il tatuatore: nel loro primo incontro, un paio di giorni addietro, era nata una reciproca antipatia.
In quella occasione Cavallaro aveva confermato che Alessio era con lui all’ora dell’omicidio e aveva consegnato i filmati delle telecamere del negozio che provavano la presenza del ragazzo.
«A cosa devo l’onore di questa visita?», chiede cercando di darsi un tono: sa che il Commissario lo considera un avanzo di galera.
Rubinetti vuole farla breve e arriva subito al punto: «Ho bisogno solo di una conferma: è sicuro che il Previtali non le aveva detto di avere la chiave del condominio di via Bisceglie?»
«Commissario, Ale non si fida di nessuno, neanche di sua madre. E fa bene. A me non ha voluto nemmeno dire il nome della donna che frequentava».

Rubinetti chiude il fascicolo dopo aver letto i documenti con l’ultima conferma che gli mancava: il ritrovamento dell’arma del delitto non lontano dal luogo dell’omicidio e le tracce che inchiodano il colpevole.
Sulla sbarra di ferro usata per massacrare la Leoni la Scientifica ha isolato il DNA dell’assassino: il caso è chiuso.

La persona seduta di fronte al Commissario è immobile, in silenzio, con il respiro pesante: solo gli occhi azzurri sprigionano una rabbia senza limiti.
Quando ha visto gli agenti arrivare davanti a casa sua, ha subito capito.
Lo sguardo di Rubinetti è duro, il suo tono tagliente: «Lei è l’unica persona ad aver scoperto che Alessio aveva la chiave del condominio di via Bisceglie e dove la nascondeva. E il suo DNA è stato trovato sia sulla chiave sia sull’arma del delitto».
Così quando arriva l’ultima domanda, nonostante l’avvocato suggerisca di avvalersi della facoltà di non rispondere, Lucia Previtali capisce che ormai è inutile mentire:
«Ha ucciso lei Rossella Leoni?».
«Sì, la odiavo».