Il castello, Giorgio e il drago

Giuseppe Borasi e Mauro Magarelli

La telefonata lo raggiunse mentre si trovava dalle parti di piazzale Udine, sicché il commissario Schimmenti calcolò mentalmente che per arrivare in via Cosimo De Fante gli sarebbero bastati non più di venti minuti. L’ispettore De Silvestri lo informava di una possibile nuova testimonianza riguardo al delitto Bissouma, avvenuto la domenica precedente. Asam Bissouma era la vittima, un nordafricano, cinquantenne, che gestiva a Milano un negozio di articoli ortofrutticoli, accoltellato probabilmente all’alba in quella stessa via.

Davanti al portone del civico 16, il commissario Schimmenti volse lo sguardo all’insù a contemplare l’edificio: era uno di quei palazzi eclettici di Milano, con gli archi alle finestre, i mattoni a vista e una grande torretta angolare decorata da mascheroni e gargoyles. Un falso storico evidente, eppure ben integrato nel contesto urbano, una sorta di castello che voleva rievocare i ritmi medioevali all’interno della frenetica vita meneghina.

Una donna anziana era affacciata a una delle finestre al primo piano.

– Cerca qualcuno?

– Lei è la custode? – rispose Schimmenti, un poco stupito.

– Oh no, qui ci custodiamo da soli.

La risposta dell’anziana donna strappò un sorriso al commissario, che infine si qualificò, precisando chi avrebbe dovuto incontrare.

– Oh, un commissari e che l’è success? Ah, ho capii, vegnì qui per quel poer cristi che l’han ammazzà una settimana fa. Comunque, la signora Beltramo sta al terzo piano.

Nell’attraversare l’androne di quel palazzo, Schimmenti procedeva lentamente, rapito dai frammenti di un passato che gli sembrava ancora vivo: il pavimento in marmo, le pareti delle scale color rosso mattone in contrasto con la parte superiore giallo ocra; e poi l’ascensore, come quelli di una vecchia Milano, con le porte più esterne in ferro battuto a chiusura manuale. Un minuto dopo era nel salotto di casa: ovunque quadri di nature morte e scene di vita campestre; su un lato meno visibile una successione di fotografie in bianco e nero raffiguranti angoli e caratteristiche di una Milano degli anni Venti. Via Buonarroti e Piazza Piemonte, Corso Monforte, largo San Babila, il Naviglio San Marco. E poi strade meno conosciute, fotografie di alcune delle più rinomate drogherie, di negozi che avevano lasciato il posto a qualcosa di più attuale e anonimo. Più sotto le foto di piazze affollate e di tram che portavano avanti e indietro una varia umanità, immagini e volti di persone che non c’erano più oppure, se ancora vive, profondamente cambiate rispetto all’attimo cristallizzato in fotografia.

– Le piacciono? – domandò la signora Beltramo con un vassoio fra le mani.

– Sì – ribatté Schimmenti colto alla sprovvista. – Adoro le fotografie di una volta…

– Anche al mio ex marito piacevano molto, un grande appassionato d’arte.

– È da tanto che siete separati?

– Tre anni ormai- rispose la donna cambiando improvvisamente espressione. Credo che lui non abbia mai accettato la malattia di nostro figlio Giorgio. Forse si è sentito colpevole in qualche modo.

– Di cosa soffre suo figlio? – chiese Schimmenti con un certo imbarazzo.

– Autismo. Giorgio è la mia vita, ma può immaginare quanto possa essere preoccupata per lui.

Schimmenti fece solo un cenno col capo, mentre cercava di immaginarsi il viso di quel bimbo immerso in un mondo tutto suo e probabilmente migliore di quello reale.

– Ho avuto la fortuna di mantenere il mio lavoro da ragioniera part-time. Quando torno a casa aspetto che mio figlio rientri da scuola. Il resto della giornata lo passiamo insieme qui, nascosti un po’ da tutto.

Dopo aver lasciato parlare ancora per un po’ la donna, come faceva sempre per rendersi conto di quale persona avesse di fronte, le ricordò il motivo per il quale era venuto.

La donna rifletté un istante, a voler ricomporre la scena che aveva visto.

– Era poco dopo l’alba e avevo aperto le finestre per fare cambiare aria. È stato in quel preciso momento che un rumore indefinito ha catturato la mia attenzione.

– Indefinito? – ripeté il commissario scuotendo appena il capo.

– Sì, come se qualcuno, correndo, andasse a sbattere contro qualcosa. Un’auto parcheggiata o un cassonetto della spazzatura. Qualche istante dopo la figura di un uomo è balzata fuori dileguandosi in fretta e furia.

– Me lo può descrivere? Corporatura, altezza, colore della pelle…

– Purtroppo ho un ricordo molto vago, niente che possa aiutarvi, temo. Ma, dopo aver letto di un omicidio, ho pensato bene…

– Non si preoccupi, ha fatto la cosa giusta – le rispose Schimmenti, per poi congedarsi qualche minuto dopo con una stretta di mano.

Nell’attraversare il corridoio si arrestò di colpo, come fanno i gatti, quando si fermano con la zampa a mezza altezza dal suolo.

– Quella è la stanza di suo figlio?

– Sì, passa molto tempo lì dentro. Se non altro – disse, come a volersi giustificare dell’handicap del figlio – ha un notevole talento artistico, se ne sta a disegnare per ore e a volte si sveglia all’alba e si mette a guardare dalla finestra, poi disegna sempre lo stesso angolo di strada, laggiù, chissà perché. Ha l’abitudine di conservare tutti i suoi disegni e su ciascuno di essi mette la sua firma, con la data del giorno e l’ora. Ma io cosa posso farci?

Il commissario non la stava più ascoltando, si era precipitato dal bambino, spiegandogli di essere un poliziotto e che avrebbe potuto aver bisogno del suo aiuto. Giorgio aveva sorriso e con orgoglio gli aveva procurato il disegno a cui quell’uomo sembrava tanto interessato. Raffigurava da un lato un castello e di fronte un uomo vestito di giallo con un drago sulla schiena, intento a brandire una spada contro un uomo tutto nero. In basso a destra la scritta : 1 settembre 2024, ore 6.46.

Schimmenti lo osservò attentamente, poi scrollò il capo con un’espressione di delusione sul volto. Che sciocco era stato a poter pensare di risolvere un crimine con quello che era solo un semplice disegno nato dalla fantasia di un bambino problematico. Stava per andarsene, eppure un’idea continuava a balenargli nella mente e non gli dava pace. E se Giorgio avesse davvero ritratto il momento esatto dell’omicidio? Se l’assassino fosse stato effettivamente vestito di giallo e quella che sembrava una spada fosse un coltello? Magari quel drago poteva essere un tatuaggio sul collo visibile anche da lontano e quello che sembrava un castello altro non era che quel palazzo di via De Fante dall’aspetto così singolare… E l’uomo tutto nero poteva essere Bissouma? Decise che avrebbe chiesto un mandato al magistrato per visionare le telecamere della zona, perlomeno adesso sapeva che cosa cercare: forse un uomo con una maglietta gialla e un tatuaggio a forma di drago. Alla peggio, se fosse stato un buco nell’acqua, si sarebbe preso una lavata di capo dai suoi superiori, una delle tante. Quando ormai era sulla soglia di casa, si sentì strattonare lievemente un lembo dei pantaloni. Era Giorgio, che gli porgeva un disegno, l’ultimo che aveva appena fatto. Sul foglio c’era un uomo grande e grosso come lui, con il distintivo di sceriffo e una pistola nella fondina, che dava la mano a un bambino. Il cielo senza una nuvola e un grande sole giallo in alto a destra. 8 settembre 2024, ore 15.50.