Gli anni Venti alle porte

Luca Gemme

Correva l’anno 1919 a Milano, precisamente il giorno 23 marzo quando l’ispettore Leandro Mordini si precipitò in via Zecca Vecchia, ove il corpo senza vita di un giovane uomo giaceva riverso sulla strada in una pozza di sangue.
Oltre ai questurini, che si prodigavano a tenere lontano dalla scena del delitto gli astanti incuriositi, c’era pure il vice ispettore Italo Tarbazzi, accorso per primo sul luogo perché in quel momento si trovava in servizio giustappunto nel quartiere delle Cinque Vie.
«Se ghé succedù, Italo?» chiese l’ispettore, mentre osservava il cadavere.
Tarbazzi rispose con una smorfia ironica: «Luigi Buini, detto Gigio, vent’anni, operaio, freddato da un unico colpo d’arma da fuoco al petto.»
L’ispettore annuì, il suo volto era impassibile: «Via Zecca Vecchia è sempre frequentata a quest’ora, ci sono testimoni?»
«No, nessuno si è fatto avanti» rispose Tarbazzi. «L’unico è l’amico sopravvissuto all’aggressione, Amerigo Caraccio, anche lui operaio nella stessa fabbrica occupata dai lavoratori in sciopero…»
«Uhm, sì… i nomi non mi suonano nuovi: socialisti sovversivi!» disse l’ispettore.
Poi si avvicinò al giovane dal volto livido segnato da un’espressione affranta, seduto sul bordo del marciapiede. «Amerigo, raccontami cosa è accaduto!»
Amerigo alzò lo sguardo, mostrando i segni della colluttazione: «Tre baùscia in camicia nera… li abbiamo incrociati lungo la strada, avevano con sé i gagliardetti degli arditi. Ci hanno insultato pesantemente, ne è nato un tafferuglio… botte da orbi, bastonate, pugni… uno di loro ha estratto una pistola e ha colpito a morte Gigio, dopodiché sono scappati via verso piazza San Sepolcro.»
«Li hai riconosciuti?»
«Uno sì… quel malnàtt che ha sparato!» rispose Amerigo con occhi pieni di acredine. «È Albino Volpi, ne sono sicuro, tutti lo conoscono a Milano per le sue bravate scioviniste. L’è lù l’assassin, ispetùr!»
Mordini si allontanò per confabulare con il collega: «Hai sentito, Italo? Volpi è una nostra vecchia conoscenza, ha precedenti per rissa e oltraggio alla forza pubblica, fa parte di quell’associazione di arditi che si è da poco costituita…»
«Sì, un balabiòtt… forse si stava recando con i suoi camerati all’adunata dei reduci di guerra, indetta per oggi presso la sala riunioni del Circolo dell’Alleanza Industriale di palazzo Castani. È ancora in corso e i nostri agenti stanno controllando la situazione in piazza per prevenire eventuali scontri con i socialisti rivoluzionari.»
«Esatto, non ci resta altro che andarlo a prendere e portarlo in Questura. Lo torchiamo ben bene fintanto che non confessa il delitto.»
Il gruppetto giunse in piazza San Sepolcro: il portone di palazzo Castani era spalancato, gli arditi che erano di guardia riconobbero subito i poliziotti e non fecero opposizione al loro ingresso.
La sala riunioni era piena zeppa di persone vocianti e baldanzose in camicia nera o con la divisa militare orpellata di mostrine e medaglie al valore, sbraitavano, inneggiavano, cantavano a squarciagola. Mordini cominciò a girovagare in mezzo a quel marasma di esagitati alla ricerca dell’indiziato.
D’improvviso la platea si ammutolì, Mussolini stava concludendo il suo discorso…
Un’ovazione deflagrante e lunghissima investì l’ispettore mentre si faceva largo tra la folla, fu a quel punto che si sentì tirare la giacchetta: era Tarbazzi che gli indicava Albino Volpi, schiamazzante e plaudente, posto nella seconda fila dell’ala destra della platea rispetto al palco.
I questurini lo raggiunsero. L’ispettore lo squadrò attentamente e si avvicinò al suo orecchio così da farsi sentire perché il frastuono che invadeva la sala era assordante: «Albino, vieni con noi, dobbiamo farti qualche domanda.»
Volpi reagì indignato: «Non vengo da nessuna parte. Io non ho fatto niente di male.»
«Un giovane operaio ci ha rimesso le penne per un colpo d’arma da fuoco a pochi passi da qui. L’amico che l’accompagnava ci ha detto che sei stato tu a sparare. Perquisitelo!»
Le guardie rinvennero una Beretta semiautomatica M15: al tatto risultava calda e nel caricatore monofilare da otto colpi mancava un proiettile. Nel frattempo alcuni arditi fecero scudo con il proprio corpo per proteggere Volpi, fronteggiando minacciosamente i poliziotti. Gli animi si stavano surriscaldando.
«Io non c’entro nulla, sono innocente! Quel bolscevico mi accusa ingiustamente perché si vuole vendicare. Non sono stato io a sparare!»
Mordini fece un cenno brusco alle guardie: «Portatelo in questura!»
D’un tratto si trovò davanti il volto dell’ex direttore dell’Avanti: la mandibola pronunciata, gli occhi sgranati di un magnetismo raggelante, il piglio autoritario e carismatico intimidirono non poco l’ispettore.
«Qualificatevi!» disse in tono perentorio.
«Ispettore Leandro Mordini!»
«Ispettore, in mancanza di una testimonianza schiacciante e attendibile voi non siete legittimato a prendere provvedimenti contro il camerata Volpi. Garantisco io per lui, egli è stato in questa sede tutta la giornata ad aiutarmi nella fase di preparazione dell’adunata.»
«Signor Mussolini, il vostro camerata non è in stato d’arresto, voglio solo interrogarlo in modo da chiarire la faccenda… vi prego cortesemente di sollecitare i vostri uomini a cederci il passo…»
La tensione era alle stelle, Mussolini fece un gesto rassicurante alla folla per far capire di avere la situazione sotto controllo.
In quel momento giunse una guardia che consegnò un bigliettino a Tarbazzi. Lo lesse, poi si avvicinò all’ispettore e bisbigliò: «È un messaggio del questore… ha ricevuto ordine categorico dal prefetto di lasciar perdere perché ritiene che si tratti di un banale fatto di cronaca nera non ascrivibile a un movente politico. Dobbiamo andarcene!»
Mordini fece una smorfia sprezzante di disappunto, con tono fiero si rivolse a Mussolini: «A quanto pare qualche santo in paradiso ha deciso di proteggervi, togliamo il disturbo, signore!»
Appena s’incamminò verso l’uscita della sala, fu richiamato da una voce altisonante e solenne tra il silenzio tombale dei fascisti della prima ora: «Ispettore Mordini!»
Egli si voltò e vide Mussolini che lo stava fissando con un ghigno furbesco.
«Ispettore, oggi a Milano si sta scrivendo la storia. I venti stanno cambiando e gli anni che sono alle porte decreteranno il trionfo dell’Italia fascista e il riscatto della vittoria mutilata… Ciò che è successo è solo la genesi di una violenza sacra e purificatrice che spazzerà via i traditori e il pericolo bolscevico dal patrio suolo. Voi tutori dell’ordine dovrete prendere atto di questo cambiamento epocale.»
Impressionato dallo sguardo arcigno e sicuro del futuro duce, Mordini replicò: «Questa violenza provvidenziale, come voi la definite, prima o poi si ritorcerà contro chi l’ha generata e promossa, statene certo!»
Egli avvicinò la mano alla tesa del cappello in segno di saluto e se ne andò con gli altri, travolti da una marea di sfottò e Alalà.
Dipoi la riunione continuò con ulteriori interventi sul palco da parte dei più quotati esponenti del fascio primogenio, osannati e applauditi dai sansepolcristi.
A Milano Leandro Mordini combatté nei GAP della resistenza.
Ventisei anni dopo ebbe modo di rivedere Benito Mussolini… a piazzale Loreto.