La sera prima
Leandro Miglio
È una fresca serata primaverile e il silenzio sta lentamente scendendo sulla città. In lontananza si sente lo sferragliare del tram, mentre le poche persone ancora in strada bisbigliano mentre camminano verso le loro abitazioni. La fontana della piazza è spenta e lo specchio d’acqua immobile riflette il nero lucido del cielo.
Da un furgone bianco scendono due uomini che indossano tute blu. Uno di loro ha una scala, mentre l’altro impugna una cassettina rossa per gli attrezzi. Si avvicinano al primo lampione, aprono lo sportellino posto alla base in ghisa. Armeggiano, parlano tra loro, poi richiudono lo sportellino e passano al secondo lampione poco distante.
La piazza è ormai deserta, gli operai continuano il loro lavoro, una pattuglia della polizia transita senza fermarsi. Più lontano, un uomo si avvicina a passo lento. Mocassini lucidi, pantaloni grigio scuro ben stirati, trench beige abbottonato, cappello leggermente abbassato sugli occhi. Nella mano destra tiene una sigaretta dalla quale tira grandi boccate. La nuvola di fumo sale al cielo prima di dissolversi spazzata via da una leggera brezza che improvvisamente investe la piazza.
Gli operai notano l’uomo ma continuano imperterriti il loro lavoro. Quando il figuro gli passa di fianco entrambi lo guardano. Ha rallentato ulteriormente il passo. Il solito tiratardi, magari ubriaco, pensano. Il cigolare dello sportellino del lampione risuona sinistro nella notte. L’uomo in trench, attirato dallo stridulo rumore metallico, si volta verso gli operai che lo fissano immobili. Tra loro, un rapido sguardo, un cenno d’intesa.
La stessa auto della polizia passata poco prima in piazzale Giulio Cesare si ferma davanti agli operai che già si avviano verso il furgone. Il capopattuglia li squadra da capo a piedi, senza proferir parola. Loro si sono fermati davanti alla volante, una goccia di sudore freddo cola dalla guancia di quello con la scala.
«Buonasera», bisbiglia il poliziotto e l’auto riprende la sua lenta marcia. Gli operai sembrano statue di cera accarezzate dal vento freddo d’inizio primavera. L’autista della volante ha notato l’uomo in trench che li osserva da lontano. È lo stesso di prima, senza dubbio. Decidono di seguirlo a distanza, senza dare nell’occhio, senza fargli credere che è sotto osservazione. L’uomo attende ancora qualche istante, poi con la mano guantata si aggiusta il cappello e con uno scatto fulmineo s’infila in una delle traverse della piazza.
«Vai vai» dice il capopattuglia esortando l’autista ad accelerare. È chiaro, quell’uomo ha qualcosa da nascondere.
Non appena la Lancia gira dentro via Pompeo, dell’individuo in trench non c’è più traccia. Eppure non poteva essere sparito nel nulla. Il sovrintendente di polizia scende così dall’auto, intenzionato a ispezionare ogni angolo di quella strada buia, seguito a passo d’uomo dalla volante, che con i fari illumina l’asfalto lucido e brillante.
Niente, di quell’uomo nessuna traccia, pare davvero essere svanito nel nulla. L’agente si ferma in mezzo alla strada, voltandosi verso l’auto con i fari accesi. La luce lo acceca, per cui si porta la mano destra a coprirsi gli occhi. Poi allarga le braccia, come in segno di resa.
Il collega, si sporge dal finestrino indicando con il braccio teso qualcosa sulla strada, a una manciata di metri, giusto fin dove arriva il cono di luce dei fari dell’auto.
Il sovrintendente, con la vista disturbata dalla luce, non riesce subito a scorgere l’oggetto in strada. Sgranando gli occhi, chiede all’autista di spegnere i fari. Molto meglio, poiché l’acciaio vivo brilla subito per qualche secondo nell’opaco della notte. L’agente corre, prima che quel baluginare sparisca come l’uomo in trench. Si ferma con le punte dei piedi a un millimetro da quella cosa. «Però…» sospira sarcasticamente. Infila la mano in tasca ed estrae un fazzoletto. Afferra quella pistola dal calcio. Il collega l’ha raggiunto, si scambiano sguardi interrogativi ma senza essere troppo sorpresi di quel ritrovamento. Il sovrintendente ha in mano un revolver Enfield calibro 38, un’arma di fabbricazione inglese. L’uomo in fuga deve averla persa nella concitazione della fuga.
Il commissario ascolta impassibile il rapporto dei due agenti. Osserva la pistola. Stava per tornarsene a casa, ma ha dovuto attendere, su segnalazione della centrale, che la pattuglia rientrasse, per dargli urgenti e importanti comunicazioni.
«Inglesi!», esclamò il commissario una volta concluso il racconto dei due agenti. «Non è una novità e non mi sorprende che ci siano stranieri sul nostro territorio. Del resto, questo fatto non sorprende nemmeno voi, o sbaglio?»
Gli agenti annuirono. «Comunque, la vostra meticolosità e precisione in questo frangente è stata assolutamente preziosa e io vi ringrazio…», fece una pausa, «ma come sapete ci dobbiamo concentrare sull’evento di domani, che in quanto a garanzia della sicurezza ci metterà a dura prova. Vi ringrazio per il vostro lavoro!». Con un cenno del capo congeda così i due agenti. La Enfield calibro 38 rimane sulla sua scrivania.
La piazza è gremita e la folla acclama a gran voce Re Vittorio Emanuele III. Non si celebra soltanto la visita del sovrano ma anche l’inaugurazione della IX fiera campionaria, dedicata al decennale della vittoria nella I guerra mondiale. Esposito e Ronchi, i due agenti che avevano pattugliato il piazzale la sera precedente, guardano la folla indistintamente, un poco assonnati. Non se lo spiegano, ma è come se si aspettassero qualcosa, un evento eclatante. Del resto, il commissario li aveva praticamente liquidati, minimizzando quanto era accaduto, culminato nello strano ritrovamento della Enfield.
Alle 09:50, appena il sole inizia a scaldare, un boato squarcia il giubilo della folla in attesa del Re. I sorrisi si spengono, le risate diventano lamenti, la felicità si trasforma in paura. Quattordici persone rimangono uccise sul colpo, falciate dai proiettili di ghisa che l’esplosione ha creato polverizzando la base di un lampione. Altre quaranta rimangono gravemente ferite, sei moriranno nei giorni successivi all’attentato. Il percorso della carovana reale viene subito deviato, l’inaugurazione annullata.
Non lontano da Piazzale Giulio Cesare, un uomo in abito bianco ha sentito, distintamente, lo scoppio. Sorseggia Sherry affacciato alla finestra. L’aria è frizzante di primavera. Guarda il suo trench beige appeso all’attaccapanni. Perdere la pistola è stata una pessima imprudenza, un grande errore. Si stringe nelle spalle, quasi a volersi giustificare: del resto, ce ne sono tanti di inglesi a Milano in questo periodo.