Venti pezzi facili

Marisa Salabelle

«Venti!» esclamai, sistemando l’ultimo pezzo nel congelatore.
Venti tocchi di carne di prima qualità, di diversa forma e grandezza, tagliati ad arte e confezionati sottovuoto. Facevo il macellaio da vent’anni, e modestamente ero imbattibile nel taglio e nella preparazione della merce: tutta la Milano bene veniva a rifornirsi da me, sia per il fresco che per il surgelato. Chiusi il frigo con il lucchetto e mi dedicai a pulire gli strumenti che avevo usato, il tavolo da lavoro e il pavimento della stanza, oltre alle pareti, piastrellate fino all’altezza di un metro e mezzo. Ero intento nel mio lavoro, che svolgevo in modo meticoloso – nel settore alimentare l’igiene è tutto, si sa – quando arrivò il maresciallo Rognoni. Ci eravamo già incontrati, due giorni prima, quando avevo sporto denuncia per la scomparsa di mia moglie.
«Da quanto tempo manca da casa la sua signora?»
«Da ieri», risposi.
«Ha provato a chiamarla col cellulare?»
«Certo, ma risulta disattivato.»
«E ha contattato persone amiche o familiari presso cui potrebbe trovarsi?»
«Per chi mi ha preso, maresciallo? Se le dico che è scomparsa ho le mie ragioni! Mia moglie non si è mai allontanata da casa senza avvertire, in vent’anni di matrimonio. Star fuori la notte, poi! Non è da lei…»
«Non ha preso in considerazione… ehm… la possibilità che sia con un’altra persona?»
«Con un altro uomo, dice? Ma per carità! Si vede che lei non conosce mia moglie…»
Il maresciallo non sembrava convinto, lì per lì, ma doveva averci ripensato, anche perché nei giorni successivi io l’avevo tempestato di telefonate. E a quanto pare si era deciso finalmente a far qualcosa.
«Se permette, dovremmo dare un’occhiata ai locali e alle attrezzature», mi disse, sventolando un mandato di perquisizione. Doveva aver raccolto delle voci in giro, si sa quant’è pettegola la gente, e d’altra parte il marito è sempre il primo ad essere sospettato. Mi mostrai collaborativo: non avevo nulla da nascondere.
«Sento odore di candeggina», fece, sospettoso, annusando in giro come un cane da tartufi.
«Certo, maresciallo, pulisco sempre con cura dopo aver macellato. E ho usato la candeggina, è chiaro.»
«Cosa c’è qui dentro?», chiese, indicando il congelatore.
«La carne!»
«Le dispiace aprire il lucchetto?»
«Si figuri…»
I suoi uomini estrassero dal frigo i pezzi che ci avevo messo dentro poche ore prima: non erano ancora congelati. Con interesse morboso li allinearono sul banco, cercando di indovinare di che tagli si trattasse. Poi fecero venire un camion frigorifero e si portarono via tutto. La carne, a quel punto, sarebbe stata da buttare, e cercai di protestare, ma non mi diedero retta. Le indagini erano indagini, che diamine!

«Allora», fece il maresciallo rivolto al medico patologo. «Di che si tratta?»
«Non è carne umana. Una coscia di cervo, del petto di tacchino, costato di maiale, un trancio di vitellone, bistecche… ossibuchi per il risotto…»
«Come! Avrei giurato…»
«Non ha fatto a pezzi la moglie, questo è certo. Nessuna traccia nemmeno sul banco da lavoro, sul pavimento e sulle pareti, sui coltelli, le mannaie, i seghetti e sulle attrezzature varie. Solo sangue e fibre animali.»

La sera, in camera, mi preparavo ad andare a letto. La macelleria era stata dissequestrata, gli attrezzi mi erano stati restituiti, peccato per tutta quella carne, per quei venti pezzi che avevo tagliato e sistemato con tanta cura e che erano andati a finire tra i rifiuti speciali. Che spreco! In ogni caso, l’indomani avrei potuto riprendere la mia attività, e questo era già qualcosa. Di mia moglie, nessuna traccia.
«Buonanotte, cara», sussurrai salendo sul letto. L’avevo ricollocato al suo posto quando il cemento si era indurito per bene: solo allora avevo rimesso a posto i tasselli del parquet, avevo coperto il pavimento col grande tappeto che avevamo comprato insieme all’Ikea, mia moglie e io, e ci avevo piazzato sopra il letto matrimoniale. «Fa’ un buon sonno… eterno!»
Mi sistemai sotto le coperte e mi addormentai subito. Non ero suggestionabile come il protagonista di quel racconto di Edgar Allan Poe, che sentiva battere il cuore della sua vittima da sotto il pavimento. Il cuore, in fin dei conti, è un pezzo di carne come un altro.