Portare il buono ovunque
Federica Locatelli
30 agosto 1920
La nebbia avvolgeva Milano in una morsa, timidi i primi raggi di sole si facevano strada tra il grigio delle vie, colorando di sfumature dorate i muri in pietra degli edifici. Nessun rumore si udiva, se non il cinguettio degli uccellini tra gli alberi, una calma, che non sarebbe durata per molto. Un vento gelido, a premonizione di ciò che sarebbe accaduto, colpì le braccia scoperte di Henry, lasciandogli una sensazione di terrore lungo tutto il corpo. Gettò la giacca nera di alta sartoria a terra, il respiro era affannoso, la fronte madida di sudore e le gambe faticavano a stare dritte, tanto da costringerlo a sedersi a terra. Era figlio di un industriale inglese, che dopo la Grande Guerra, aveva investito in alcune aziende italiane, con lo scopo di partecipare alla ripresa del Paese. I piani non andarono però come previsto, la crisi economica accentuata dalle misere condizioni salariali, portò contadini e operai ad organizzare delle vere e proprie rivolte. Gli industriali lombardi stanchi della situazione decisero di passare al contrattacco. Henry veniva proprio da un loro incontro, conscio che la strada intrapresa dal gruppo, avrebbe portato maggior scompiglio. Con voto quasi unanime decisero per la serrata di tutte le fabbriche, impedendo l’accesso agli operai, privandoli così della loro unica fonte di sostentamento. Appassionato di economia sin da bambino, Henry intravedeva nell’azienda uno strumento di benessere sociale, di uguaglianza e rispetto per tutti coloro che vi lavoravano. Un pensiero controcorrente il suo, a causa del quale molte volte si era scontrato con la sua famiglia. I lavoratori da lui si sentivano ascoltati, presi in considerazione, tanto da essere quasi gli unici a non voler partecipare alla rivolta nazionale.
Ora, riverso a terra, in un vicolo anonimo di Milano, mentre un raggio di sole gli illuminava il viso chiaro, lottava pian piano per prevalere sulle preoccupazioni dei momenti appena trascorsi. Aveva il tempo dalla sua parte. La serrata, infatti non sarebbe partita in modo sincrono in tutte le fabbriche. Gli operai, avevano bisogno di quel lavoro, non potevano perderlo. Scattò in piedi, cerando di ripulirsi gli abiti. Poteva farcela, doveva farcela, avrebbe trovato una soluzione, garantendo sicurezza agli operai e stabilità a suo padre.
Erano quasi le 7 ormai, si fermò a guardare il suo riflesso nella vetrina di una panetteria, aveva la giacca tutta sgualcita. Decise di non indossarla, un gentiluomo non si definiva dall’abito, ma dall’animo. Almeno questo è ciò che sua nonna materna era solita ripetergli. La ricordava come l’ultima volta che l’aveva vista, prima che morisse, indossava un vestito di lino giallo, con dei fiori bianchi ricamati sull’orlo delle cuciture, il suo sorriso illuminava tutta la stanza.
<Porta il buono ovunque tu vada>, gli disse.
Proteggere i suoi dipendenti era il buono.
Mentre procedeva a passo spedito verso l’azienda, iniziò a pensare ad un piano per evitare la serrata, doveva ragionare fuori dagli schemi.
<Buongiorno>, esordì entrando.
<Buongiorno Signor Henry>, risposero i dipendenti con tono preoccupato.
<Antonio che succede?>, chiese rivolgendosi all’uomo più anziano.
Questo prese un panno di lino dalla tasca del pantalone e si asciugò il sudore sulla fronte, poi con il tono di chi non ama creare problemi, spiegò che avevano saputo dell’incontro segreto e temevano di perdere il lavoro.
L’azienda non era molto grande, ma in crescita; produceva confetture e salse, distribuendole in tutto il territorio italiano.
<Mai permetterò che vi accada qualcosa. Vi chiedo di restare calmi>, disse Henry. La crisi era e doveva restare fuori da quelle mura.
Placati gli animi, si ritirò nel suo ufficio. Il colore giallo delle pareti faceva a pugni con il suo umore. Le voci della riunione segreta erano già in circolazione, pensava di avere più tempo. Doveva trovare una soluzione in fretta da presentare a suo padre.
Illuminazione!
Avrebbe ridotto il divario tra operai e industriali, portandoli a cooperare, donando ai primi una piccola quota dell’azienda e aumentando il loro salario, garantendo ai secondi una produzione più elevata e maggior profitto. Si precipitò al piano di sotto, dove la catena di produzione aveva ripreso a correre come sempre. Numeri! Aveva bisogno di cifre esatte e nessuno meglio di Agata riusciva a far danzare i conti in un prospetto.
Si schiarì la voce, per attirare l’attenzione, ma fu inutile perché erano già tutti intenti ad osservarlo allibiti. Il suo aspetto era al limite del buon gusto, i capelli corti biondi erano tutti arruffati, i pantaloni di alta sartoria ridotti ad uno straccio. Si guardò. Rise, una risata piena, poi si toccò con la mano destra la nuca, come per dissolvere l’imbarazzo.
<Agata?!?>, disse rivolgendosi ad una donna alta e dalla carnagione mediterranea.
<Mi dica>, rispose lei facendosi avanti, sistemandosi la divisa da lavoro. Era di un color cammello, realizzata con una stoffa protettiva talmente pesante da rallentare i movimenti.
<Potresti seguirmi nel mio ufficio>, le chiese.
<Certamente>, rispose lei. Nell’azienda era un’addetta alla produzione, ma Henry sapeva che era molto brava con i conti.
Una sera, l’aveva vista aiutare il contabile a sistemare i registri, dopo che una serie di spedizioni erano tornate indietro. Il povero uomo faticava a starle dietro, mentre lei con la rapidità di un genio matematico, riuscì ad ordinare ogni singola riga del documento.
Una volta nel suo ufficio, Henry espose alla donna la sua idea e chiese il suo aiuto per la stesura di un report da presentare al padre.
<Io non saprei come aiutarla, sono una semplice operaia>, disse lei.
<Agata, ti ho vista aiutare Guglielmo il contabile>, rispose lui. Il tono era comprensivo.
<Ho paura, io sono una donna. Nessuno ascolterà ciò che ho da dire>, spiegò lei sedendosi su un divanetto.
Lui la osservava dall’altro capo della stanza, comprendeva le sue paure, ma voleva anche che abbattesse i muri, per lui una mente brillante era tale a prescindere dall’essere uomo o donna.
Le si avvicinò e si piegò sulle gambe, per essere al suo stello livello, poi guardandola negli occhi le disse: <Lo so che hai paura, ma non conosco nessuno con la tua bravura. Abbiamo poco tempo per convincere mio padre>, poi fece una pausa. <Le vite di tutti sono nelle nostre mani. Io voglio tentare e tu?>.
Lei avrebbe accettato sin da subito, ma il terrore di perdere tutto la spaventava. Non era facile la vita a Milano nel 1920, per una donna sola. Da ragazza aveva iniziato a studiare di nascosto insieme ai suoi fratelli, raggiunta l’età per lavorare, con l’aiuto di sua madre, fuggì, per garantirsi un futuro.
<Ti aiuterò>, disse sospirando.
Stilarono una proposta di collaborazione tra industriali e operai, inserirono previsioni sui guadagni futuri e date di assemblee periodiche a cui tutti avrebbero potuto partecipare. L’idea era un modello di gestione tipico di una famiglia, in cui ciascuno faceva la propria parte e partecipava ai guadagni.
Lo presentò al padre il giorno stesso. Accettò.
Aveva portato del buono.