La farmacia
Barbara Martini, Paola Pozzo
Seduto al bar, con il solito caffè, guardo la vetrina di fronte e cerco di ricordare.
Fino a un anno fa c’era una farmacia, ora un kebab. Non ricordo com’era vestita mia moglie quando l’ho vista la prima volta, in quella farmacia. Sono passati vent’anni, anzi, ventuno e mezzo. Lei era all’ultimo anno di liceo, io al primo di Fisica. Comprava creme idratanti e vitamine, invece io entravo per misurare la pressione. Ero sempre agitato e credevo di averla alta. A dire il vero era tutta colpa dell’università che non mi piaceva e che avevo scelto solo per far contenti i miei. Comunque ora ricordo, quel giorno aveva un cappello a fiori gialli e grandi occhiali da sole. E poi… l’anno scorso mi ha lasciato.
Così tutti i giorni mi siedo qui e guardo il kebab. Ha aperto tre mesi dopo che lei se n’è andata.
Lì, dove gira lo spiedo, c’erano le creme idratanti e le vitamine, e dove c’è il ragazzo che fa i panini, l’angolo per misurare la pressione.
Un bel giorno incrociai lei sulla porta. Da lì è partita la nostra storia. Storia che poi si è fermata sempre lì, due valigie vicino al bidone dei farmaci scaduti. E il cappello a fiori gialli posato sopra. Io che parlavo, poi stavo zitto, poi urlavo. Tutto inutile. È arrivato il taxi e non l’ho più vista.
Il mio amico Giorgio mi dice di non pensare al passato. Dice che ho quarant’anni e parlo come un vecchio, e sto seduto al bar a guardare il kebab come i pensionati guardano i cantieri.
«Devi darti una mossa» dice.
Ma io voglio ricordare. Al posto del kebab, ci vedo sempre la farmacia. Le creme idratanti, le vitamine, la macchina della pressione.
Giorgio mi afferra per un braccio. «Ora la farmacia è laggiù, all’incrocio, la vedi?»
Mi giro. Una croce verde lampeggia fra i palazzi. Ci passo tutti i giorni davanti e neanche me ne sono accorto.
«Cosa c’era prima?»
«Forse un negozio di scarpe.»
È vero, ora mi viene in mente, mia moglie ne comprava a iosa.
«E che fine ha fatto ‘sto negozio?» dico.
«Ma che t’importa? Si sarà trasferito, avrà chiuso.»
Almeno il bar non ha chiuso, però ha cambiato gestione. Adesso ci sono due cinesi che lavorano giorno e notte.
Mi siedo al solito tavolo, e guardo il kebab. Vedo mia moglie con il cappello a fiori gialli che compra creme idratanti e vitamine, le sorrido, poi le parlo. Sono tante le cose da ricordare.
«Dai, su, lascia perdere.» Giorgio mi afferra ancora per un braccio. «Tu hai davvero bisogno della farmacia, ma per un calmante» dice.
Faccio spallucce e continuo a guardare il negozio.
Ora il kebab ha il bancone di lato, invece quello della farmacia era vicino alla vetrina. Quando passavi riuscivi a vedere chi c’era dentro. Se c’era lei entravo anche se la pressione l’avevo già misurata. E visto che quando la vedevo mi agitavo come un matto, la misuravo di nuovo.
«Le cose cambiano. Non sei il primo che viene lasciato dalla moglie. Staccati da ‘sto kebab e facciamo un giro.» Giorgio si ferma un attimo, e mi guarda. «Comunque, è meglio se ti prendi un calmante.»
Non l’ho preso nemmeno quando ero agitato, figurati ora. Ora sono calmo, vado a passo lento. E questo passo non riesce a stare dietro a tutti i cambiamenti.
La farmacia era qui da trent’anni. Ora c’è il kebab. Non è etico.
Giorgio spalanca gli occhi. «Che dici? Puoi aprire anche un sexy shop, se vuoi» e sogghigna. Vuole provocarmi, ma non ci casco, tanto se ci fosse un sexy shop sarebbe lo stesso, ci vedrei sempre la farmacia.
«Sei perso ormai» dice Giorgio.
Che ne vuol sapere lui che è single da una vita. Vuole essere libero, lui.
«Ora che sei libero pure tu, ci andiamo a divertire» dice e mi schiaccia l’occhio. Si capisce cosa vuol dire, anche se non schiaccia l’occhio.
Camminiamo lungo la via e a un tratto mi fermo.
«Che c’è?» fa lui.
Mi metto a fissare la lavanderia self.
«Devi fare il bucato?» Giorgio fa una smorfia e sbuffa. .
Lui ci vede la lavanderia, chiunque vedrebbe quella. Ci sono gli oblò che girano, tre persone che aspettano sedute. Arriva un profumo di detersivo che ti mette in pace col mondo. Ma io, mica ci vedo la lavanderia. Ci vedo l’oreficeria che c’era fino a due anni fa. È lì che avevo comprato l’anello di fidanzamento, e poi le fedi.
Ora in lavanderia, tutto è cambiato. Dove ci sono le sedie per aspettare, c’era la vetrina dei bracciali, sottili, spessi, intrecciati o lisci, con ciondoli o senza. Tutti d’oro. Ne avevo comprato uno per mia moglie, così, senza motivo. Non bisogna avere sempre un motivo, pensavo. E alla fine è quello che mi ha detto lei quando mi ha lasciato.
Giorgio mi fissa. «Le cose cambiano, te lo devi mettere in testa, se vuoi comprare un anello devi andare sul corso.»
Io sul corso Buenos Aires non vado mai. Mi basta il casino che c’è qui, sotto casa, la sera.
«Parli proprio come un vecchio, prendiamoci una birra, su.»
Giorgio la fa facile. Tanto lui che ne sa. Si mischia ai ragazzini che bevono a tutto andare e poi lasciano le bottiglie sui marciapiedi e pure in mezzo alla strada. E così crede di essere un ragazzino pure lui.
Quando uscivo con mia moglie non c’era tutto questo movimento.
Il bar dove di giorno mi siedo per guardare la farmacia-kebab, alla sera non lo riconosco più. I ragazzini stanno tutti ammassati come formiche. Ma che sarà mai, è un bar come un altro, e pure il kebab è uno come un altro. Loro ci vedono il kebab, è ovvio, e buttano giù quei panini come se fosse l’unica cosa da fare. Che ne sanno loro della farmacia, manco erano nati quando ha aperto.
«E prima la farmacia, poi l’oreficeria, e ora di nuovo la farmacia, dacci un taglio, cazzo!» Giorgio è su di giri. Forse dovrebbe misurarsi la pressione.
«Ma quale pressione» urla «sei tu che mi fai uscire di testa.» Sospira. «Dai, prendiamoci una birra.»
Io non mi siedo in mezzo a quei ragazzini, a parte che non c’è posto, e dovrei restare in piedi come fanno loro, o seduto sul marciapiedi o in mezzo allo spartitraffico.
Una volta se un bar era pieno andavi in un altro. Loro invece restano lì, a bere la birra in piedi. Come non ci fossero altri locali a Milano.
Il giorno dopo, tutto è sparito: i ragazzini in mezzo alla strada, le bottiglie nello spartitraffico.
Mi avvio verso la farmacia, quella con la croce luminosa. Mi fermo fuori e resto a guardare. Cerco le creme idratanti, le vitamine e l’angolo dove si misura la pressione. Non trovo niente. In questa farmacia è messo tutto diverso. Gente che entra ed esce, un andirivieni quasi come al supermercato.
A proposito, ne hanno aperto uno dove c’era il cinema; con mia moglie era un film dietro l’altro, tutti i sabato sera. Adesso chi riesce a compare le melanzane e le zucchine dove prima piangevi per un film d’amore? E chi riesce a comprare il sugo o il caffè dove prima ridevi per un film comico?
Ora davanti a questa farmacia, resto spaesato. Anche il dottore non è più lo stesso, forse è il figlio, gli somiglia, ma faccio finta di niente.
E mentre vado via, deluso, con l’idea che forse Giorgio ha ragione, le cose cambiano e bisogna accettarle, mi giro un’ultima volta, e vedo che sta entrando una donna, cappello a fiori gialli e grandi occhiali da sole. Faccio dietrofront, decido di misurarmi la pressione. Forse Giorgio non ha ragione, forse non tutto è cambiato.