Il colore come arma

Antongiulio Vergine

Si conobbero al fronte. Amedeo non aveva ancora vent’anni. Non era la prima volta che incappava nello sguardo di un uomo. Nell’arco di un anno e mezzo ne aveva incrociati a centinaia, tra quelli dei suoi commilitoni e dei soldati inglesi, francesi e americani. Ma quell’incontro, quel giorno, in una delle rare pause concesse da quell’inferno, fu diverso. Gli occhi di quell’americano lo trafissero come due proiettili. Attraversarono il cielo del suo intimo come due comete, rivelandogli quanto di più bello potesse esserci nel profondo. Per la prima volta in vita sua, Amedeo capì quel che desiderava veramente.
Si chiamava Franklin. Era dell’Ohio, Midwest degli Stati Uniti. Era poco più grande di lui, anche se nessuno l’avrebbe detto – in un contesto come quello, con la morte che ti raggela ripetutamente le vene, l’età diventa soltanto un numero: non conta più dei nei che hai sulla pelle o delle volte in cui ti sei sbronzato con gli amici. Aveva gli occhi chiari e il viso liscio come quello di un bambino. Forse era anche per questo che poteva confondersi con quello di un vent’enne. Il suo plotone si era accampato dopo chilometri di marcia, al tramontare del sole. I piedi pieni di vesciche. E adesso, insieme al gruppo di soldati italiani, provvedeva a ricavare un fosso entro cui ripararsi per la notte.
Le prime parole che si scambiarono furono patetiche. Della serie qual è il tuo nome, da dove vieni, quanti anni hai. E poi com’è andata la marcia, quanti nemici avete abbattuto, da quanto tempo fai il soldato. Parole per rompere il ghiaccio, come si suol dire. Anche se il fuoco che ardeva nel cuore di Amedeo già sarebbe bastato per scioglierlo del tutto.
Mentre Franklin parlava, Amedeo lo ascoltava. E mentre lo ascoltava, quest’ultimo non riusciva a credere di aver trovato qualcuno con cui potersi sentire liberamente sé stesso. In quello scenario brullo e desolato, lontano anni luce da quel che era il Basso Piave, finalmente il bagliore di un riflesso buono, puro, sensibile. Diverso dalle centinaia di altri sguardi che aveva incontrato fino a quel momento. A tratti irruente, ingombrante. A tratti quasi selvaggiamente eccitante. A tal punto che Amedeo già s’immaginava cosa avrebbero potuto combinare sdraiati nel solco della trincea e spogliati ognuno delle rispettive divise. Avrebbero suscitato lo scandalo più indecente della storia delle milizie mondiali. Ma, in fondo, a chi importava? E mentre Franklin era passato a raccontargli del posto in cui viveva, a due passi dallo sterminato ovale azzurro del Lago Erie, Amedeo si figurava di sfiorargli i capelli con le dita e di mordicchiargli delicatamente le labbra. Senza fargli male. Dopodiché l’avrebbe strinto forte sé, per cercare di apprezzarne meglio l’odore, e non l’avrebbe lasciato più andare per il resto di quei giorni funesti. Invece, tutto quello che riusciva a fare, manco fosse il più stupido degli idioti, era annuire e sorridere.
“Portate le divise gialle voi,” se ne uscì con un inglese un po’ stentato, “mentre le nostre sono verdi.”
“Sono cachi,” lo corresse Franklin.
“Come?”
“Le nostre divise sono cachi. Il loro colore deriva da un albero.”
“Che tipo di albero?” disse Amedeo.
“Il nome scientifico è Maclura tinctoria. Fa parte della famiglia delle Moracee, come il gelso e il fico. È diffuso soprattutto nel centro-sud America.”
“E che forma ha quest’albero?”
Franklin rimase sorpreso dalla domanda. “Be’, è un albero abbastanza alto. Può raggiungere i venti o i trenta metri. La chioma è rigogliosa, pur non essendo molto fitta. Simile a quella della quercia o dell’ulivo. Soltanto il fusto è più slanciato, snello e meno rugoso. Senza tutti quei grovigli tipici dell’ulivo. È dalla corteccia che si estrae la tintura gialla che ti dicevo.”
Amedeo cercò d’immaginarselo. Era sinceramente affascinato dall’idea di un albero che potesse produrre un colore. E non solo perché a parlargliene era la voce calma e rassicurante di Franklin. Prima di finire nel Regio Esercito faceva il pittore. Il pittore di paesaggi. E non appena sarebbe tornato a Milano, nella periferia in cui era nato e cresciuto, e dove i suoi ancora lo attendevano ansiosi, avrebbe ripreso a rappresentarne di nuovo gli scorci. Quelli coi palazzi alti e le strade bianche; le ciminiere sbuffanti e le rotaie luccicanti; i tram gialli, le automobili scure, i calessi traballanti e le biciclette sottili. E poi i prati tutt’intorno, con i ruderi, i sentieri, gli arbusti e gli alberi. L’oleandro, agghindato sempre coi suoi fiori bianchi, rossi o rosa. E il bagolaro, tronfio e maestoso nella sua capigliatura densa.
“Perché mi fai queste domande?” Franklin glielo chiese accendendosi una delle sue Bull Durham.
“Perché mi piacciono gli alberi,” rispose Amedeo.
“Ti piacciono gli alberi?”
“Sì, mi piacciono gli alberi. Mi piace immaginare come sono fatti. Adesso, ad esempio, sto pensando alla forma dell’albero di cui mi hai parlato. Se le sue foglie siano seghettate, come quelle del bagolaro, o se, invece, siano lobate, come quelle della quercia. Se il verde delle sue fronde sia intenso, come quello del muschio, o se, invece, sia più tenue, come quello dell’assenzio.”
“Le foglie sono seghettate,” gli venne incontro Franklin, “ma il verde mi sembra verde… Né troppo chiaro, né troppo scuro.”
Amedeo sorrise. “Esistono più di novanta sfumature di verde,” disse. “Lo sapevi?”
“Devo ammettere di no. Tu, invece, come lo sai?”
“Sono un pittore. O meglio, mi piacerebbe esserlo,” lo sguardo di Amedeo si posò sul terreno arido e scuro della campagna.
“In che senso?”
“Nel senso che ancora non sento di essere ciò che vorrei essere.”
“Non ti seguo,” disse Franklin. “Se sei un pittore, suppongo tu dipinga. E se dipingi, allora sei un pittore.”
“Le cose non stanno esattamente così. Per essere un pittore non basta saper dipingere. Bisogna esserlo nel profondo. Sentirlo, viverlo. Bisogna dimostrarlo ogni giorno, anche col rischio di fallire. Per esempio, in questo momento faccio il soldato. Ma io non sono un soldato. Non sento di esserlo, né mai lo sentirò. Imbraccio un’arma, indosso una divisa, uccido perfino, ma non sono un soldato. Questo è soltanto un incubo dal quale spero di svegliarmi presto.”
L’espressione di Amedeo si tinse di malinconia. Non aveva mai confessato a nessuno i suoi pensieri. Nel circolo scriteriato di chi crede di poter servire debitamente la propria patria soltanto in quella maniera, lui si sentiva come un bruco in mezzo a un nugolo di vespe. Indifeso, impaurito, spaesato, svilito. E se pure nel suo plotone ci fosse stato qualcuno che la pensasse come lui, nulla gliel’aveva mai fatto credere. Non una parola era mai stata spesa in tal senso. Tutti muti, ossequiosi. Sempre uguali nel loro incedere ed eseguire gli ordini. Si può combattere una guerra con soltanto il colore come arma?
Amedeo chiese una sigaretta a Franklin, che gliela porse e gliel’accese con uno dei suoi fiammiferi americani.
“E tu come fai a saperle?”
“Sapere cosa?” disse Franklin.
“Sapere tutte quelle cose su quell’albero.”
Franklin sorrise e si rimise in tasca i fiammiferi. “Anche a me piacciono gli alberi,” disse.