L’ombra del gatto giallo
Antonietta Lembo
Avrebbe potuto giurare di aver visto l’ombra del gatto muoversi, mentre il felino rimaneva immobile a fissare il vuoto con un’aria malvagia: era la seconda volta che accadeva in sette giorni.
Quel gatto giallo, con gli occhi gialli e la faccia da giapponese non gli era mai piaciuto fin da quando era piombato nella sua casa milanese come dono di una vecchia zia. Era arrivato in uno di quei giorni d’estate caldi, umidi e con assenza di ventilazione, tipici della Pianura Padana. Sembrava soffrire per il clima, per quel caldo che rimane intrappolato tra i palazzi milanesi e crea la cosiddetta “isola di calore”. Si allungava, si rotolava e si muoveva come in un antico rituale, per disperdere calore. Durante un balzo felino, in cui l’ombra sembrò staccarsi dal gatto e volare, portata via dal vento, iniziò a soffiare il Föhn, che liberò il cielo milanese dalla cappa di fuoco, rendendo l’aria più limpida e più respirabile. Sembrò al ventenne Michele molto irrazionale pensare, nel 2024, che il gatto potesse avere qualche potere sui fenomeni atmosferici. L’idea stramba, che gli era passata per un attimo nel cervello, si basava su un substrato di racconti e storie orientali che gli erano state raccontate da piccolo e alle quali non credeva più. Scosse la testa e non ci pensò per un po’ di tempo.
Zia Anna, novantenne, una settimana prima aveva deciso di ritirarsi in un ospizio e, suo malgrado, aveva dovuto disfarsi di quel gatto che aveva trovato nel castello di Kumamoto, incendiato nel 1877 durante la ribellione di Satsuma. A lei che credeva nella reincarnazione, quel gatto giallo era sembrato subito un essere privilegiato, sopravvissuto a chissà quante avventure! La storia e la mitologia del Giappone avevano sempre affascinato e condizionato il pensiero di zia “Nanà”, come la chiamava Michele, tanto da pretendere di trasmettere la passione al nipote preferito, non avendo avuto figli suoi. La zia aveva anche tentato di convincere il ragazzo ad accompagnarla nei lunghi viaggi che ogni anno faceva in qualche isola giapponese, ma in venti anni non le era riuscito una volta!
Ora, costretta in una casa di riposo, non avrebbe più potuto viaggiare e sembrava che volesse far pagare cara al nipote l’offesa dei continui inviti declinati, affidandogli quel gatto che osservava con occhi umani e cattivi il suo nuovo padrone. Michele, dal canto suo, provava una certa paura ed un ossequioso rispetto nei confronti di quel gatto che sembrava giudicarlo con sguardo severo.
Da quando quel gatto aveva messo le zampe in casa sua si sentiva sotto una lente d’ingrandimento. A volte sembrava che il gatto ridesse per la sua goffaggine, parve addirittura che fosse felice quando fu licenziato: tre giorni esatti dall’arrivo del perfido felino! “Sarà stata una coincidenza” si ripeteva “i gatti non portano sfiga e poi non è nemmeno nero!”. Dopo di allora una serie di sfortunati eventi gli avevano reso la vita difficile: un incidente d’auto dal quale era uscito vivo per miracolo, la ragazza che lo aveva lasciato senza un motivo ed il furto nel suo appartamento erano troppe coincidenze anche per una mente matematica come la sua…
Una notte d’agosto, particolarmente calda, Michele si era alzato per aprire la finestra e aveva notato un vasto incendio sulla Montagnetta di San Siro, nella zona nord-est di Milano. Il Parco del Monte Stella era andato praticamente distrutto ed il gatto osservava soddisfatto, così pareva, quel fuoco, ma la cosa più sbalorditiva era la sua ombra: sembrava fumare ed emanare una puzza di peli bruciati. Non poteva credere ai suoi occhi e sicuramente l’olfatto gli stava facendo un brutto scherzo! Decise di rimettersi a letto perché la fase del dormiveglia non lo faceva essere lucido. Sognò i mostri giapponesi, gli yokai, di cui aveva sentito tanti racconti da piccolo. Ogni anno, di ritorno dal Giappone, la zia gli raccontava sempre storie nuove di demoni o spettri che causano sfortuna o danni agli esseri umani e lui, con occhi spaventati e battiti cardiaci a duecento, ascoltava, ringraziando il destino di essere nato in Italia, nella moderna, ricca e razionale Milano e -soprattutto- di non avere a che fare con quegli esseri mostruosi. Si svegliò tutto sudato proprio mentre sognava uno yokai particolare, un mutaforme, nello specifico un gatto giallo che subiva una metamorfosi, prendendo sembianze umane, per compiere qualcosa di malvagio. Il sogno era stato interrotto dal brusco risveglio, ma la sensazione di paura e che qualcosa di orribile potesse succedergli lo accompagnò tutto il giorno. Decise di liberarsi di quel gatto che in qualche modo aveva portato la rovina in casa sua: pensò di farlo morire di fame, non dandogli cibo ed acqua, ma il gatto per oltre un mese non sembrò soffrire minimamente della mancanza di nutrimento. Stabilì allora di metterlo in un sacco e di buttarlo nel fiume Lambro. Una notte, mentre tutta Milano dormiva, prese un sacco di iuta, vi mise dentro delle pietre e poi il gatto. Sulle sponde del fiume augurò al gatto di morire affogato lentamente e tra miagolii strazianti. Mentre lanciava il sacco, l’ombra del gatto si avvinghiò ai suoi piedi: Michele inciampò e cadde rovinosamente nel fiume. La sua faccia sbattè contro un masso sporgente ed il suo corpo s’inabissò nelle acque più scure della notte.
Il cadavere fu ripescato alcuni giorni dopo, nel Po, mentre soffiava il Föhn. La Polizia non riusciva a capire cosa fosse successo alla giovane vittima: omicidio, suicidio o pura fatalità? Nessuno aveva visto né sentito niente nel raggio di un centinaio di chilometri. Mentre il commissario scuoteva la testa e si asciugava il sudore della fronte, un gatto giallo, dall’aria soddisfatta e con il pelo mosso dal vento, gli si avvicinò: con la coda gli accarezzò le gambe, sorrise e poi socchiuse un occhio, quasi a voler fare l’occhiolino…